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Aiuti e militarizzazione e le comunità che si preparano a difendersi

di Pietro Orsatti e Angelo Venti (www.site.it) per terranews.it

Dopo Onna, lungo la valle, piccoli e grandi campi di sfollati sono quello che resta di un territorio ricco di borghi, castelli, tradizioni. Non cancellati, forse, se non in parte, ma congelati. Congelati dalla terra che trema, congelati dalla tragedia, congelati anche dalla macchina militarizzata degli aiuti della protezione civile.

Non sono solo case transennate, ferite. Sono esseri umani, storie. Ogni cosa è sospesa al nulla rappresentato da tendopoli asettiche e, nella tragedia, efficienti. Piccole frazioni di umanità isolate, dalle proprie case, dai propri vicini, dal mondo. «Non ci fanno fare nulla, non riusciamo a mettere in piedi nessuna iniziativa - racconta Edoardo, uno dei ragazzi di Fossa, attivo nei Cobas -. Volevamo fare un’attività di dopo scuola? Subito abbiamo incontrato difficoltà molto pesanti con la protezione civile. Dicono che la organizzeranno loro con dei moduli formativi adatti. E noi ad aspettare. Vestiti, nutriti, curati. E basta. L’importante che rimaniamo qui e aspettiamo che provvedano a tutto loro». Ma anche gli amministratori locali, non solo qualche giovane “che scalpita”, insofferente, segnalano l’eccesso un po’ cieco della macchina dei soccorsi. «È venuto un gruppo sportivo da Celano e hanno messo su un campo giochi per i ragazzi - racconta un amministratore del Comune -. Subito è intervenuta la protezione civile dicendo che non si poteva fare, che non era autorizzato. Stiamo parlando di due porte da calcio nel prato accanto al campo. È nato un braccio di ferro poi, dopo qualche ora, la pro loco del paese ha posto dei cartelli che definivano il campetto come iniziativa loro. E alla fine hanno ceduto».



Tutto quello che è iniziativa delle “vittime”, delle persone e delle comunità, viene visto come disturbo. Spezza l’ordine, crea paura in una struttura apparentemente forte e in realtà debolissima proprio per la sua eccessiva rigidità e centralizzazione. E il meccanismo poi entra in cortocircuito quando le comunità entrano in collegamento fra loro, si associano, si alleano. Il Comune di Ariccia si è letteralmente messo a disposizione di quello di Fossa, non per organizzare aiuti che comunque arrivano e ci sono, ma facendosi carico con la propria struttura e i propri impiegati, periti e uffici tecnici, di tutte le esigenze della comunità terremotata. Scavalcando bellamente la macchina centralizzata dipendente direttamente dalla presidenza del Consiglio.
Il paese successivo, Villa Sant’Angelo, è stato colpito duramente, 17 morti, il centro storico letteralmente distrutto come Onna. Di questo paese non se ne parla, ma qui i soccorsi sono arrivati eccome. Con un piccolo escamotage - a quanto pare il sindaco di An conosce molto bene il ministro Meloni - è stata dirottata qui una delle colonne della Protezione civile più efficienti e “umanizzate”, quella dell’Emilia Romagna. E qui i responsabili dei soccorsi hanno cercato subito una relazione stretta con l’amministrazione locale, cercando di rispondere anche e soprattutto alle esigenze di socialità negate dal sisma. Tende e bagni, docce e mense ma anche un teatro e una ludoteca. E attività di collegamento con le esigenze espresse dai locali. Dimostrando che poi, senza perdere nulla nell’efficienza, ascoltando, alla fine si può fare un lavoro molto migliore. E intanto, faticosamente, iniziano a crearsi i primi comitati per la ricostruzione che affronteranno collettivamente e in rete (di persone e comuni) tutto il complesso iter per la riorganizzazione del territorio. Dotandosi anche di presidi informativi (anche grazie alla rete già avviata da www.site.it), e addirittura di giornali scritti e stampati nei campi stessi. Perché tutti sanno che si dovranno dotare di strumenti propri per difendersi da una macchina che già, dopo dieci giorni, ha mostrato di cosa è capace e non.

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