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Agrigento: la verità è vicina?

Le cronache giudiziarie di questi giorni hanno riportato all'attenzione dell'opionione pubblica la storia recente della comunità agrigentina. Una storia segnata dalla disputa tra ambientalisti e non-ambientalisti. La verità è vicina?

Una attenta lettura della storia di una comunità, come quella agrigentina, non potrà mai prescindere dal porre uguale concentrazione nello studio dei luoghi della medesima comunità. Senza alcuna retorica, posso affermare che Agrigento è una bellissima città, alla quale la storia ha regalato uno dei gioielli più preziosi dell'intera area mediterranea: la Valle dei Templi ed il suo parco. La natura ha fatto il resto: sole e mare!

Ma nel tempo, complice la naturale tendenza autolesionista dell'uomo ed alcuni eventi naturali, sono state inflitte alcune ferite profonde alla bellezza di Agrigento. Mi riferisco, come primi esempi, al ponte “Morandi” e ad alcuni “palazzoni” che sono alieni allo skyline della citta.

Il ponte è un ignobile serpente di cemento che attraversa lo spazio conteso tra il principale centro abitato di Agrigento ed il lido di San Leone. Prescindendo da una esatta cronologia, la costruzione di questa arteria viaria è stata il primo vero atto violento contro la città. Forse non c'era altra possibilità di collegare facilmente verso ovest la città, ma sicuramente la realizzazione del ponte ha impedito soluzioni alternative di collegamento, magari meno invasive e con percorsi più lenti ma più belli. Ancora più grave, il ponte domina dall'alto parte della Valle dei Templi.

I “palazzoni” sono stati invece il frutto della bolla immobiliare che ha investito la città (ed il resto del mondo) e ubriacato i pensieri di una intera classe politica, imprenditoriale e comuni cittadini: il riscatto dalla povertà e la ricerca della prosperità attraverso colate di cemento, tanto cemento. Durante questo lungo periodo di “euforia collettiva” è venuta a mancare a tutti noi la percezione della bellezza dei luoghi, della maestosità della storia, di poter consegnare alle future generazioni qualcosa di unico, di irripetibile. Non si sono salvate neppure le coste.

Poi all'improvviso madre natura chi ha messo di fronte al fatto compiuto che noi siamo solo ospiti di questo pianeta, non lo possediamo. La frana di Agrigento è stato un evento traumatico, che ha sconvolto tutti e innescato la miccia di quello che in seguito sarebbe diventato il “caso Agrigento”.

Prima di proseguire, devo però evidenziare (come già hanno fatto in tanti) che il “caso Agrigento” non è mai esistito: sono orgoglioso di appartenere ad una comunità che, nonostante tutto, ha protetto e continuerà a proteggere il suo gioiello. Nessun agrigentino serio, e sono in tanti, ha mai pensato di versare un solo grammo di cemento nella Valle dei Templi. E se qualcuno lo ha mai pensato, altri agrigentini lo hanno impedito. La città oggi è una struttura disorganica, con quartieri apparentemente vicini ma di fatto scollegati e non integrati: Villaggio Mosè, San Leone e Villaggio Peruzzo, Centro Storico, Fontanelle, Monserrato e Villaseta. Ognuno di questi luoghi ha i suoi problemi (alcuni mai risolti), non si scorge un disegno unitario. Ed ancora, ad est e ovest del centro storico esistono due luoghi che sono stati o completamente abbandonati o asserviti in toto a curare (senza risultato evidente) i mali della nostra mente. Ad ovest il parco “ICORI”, sepolto da erbacce e da rifiuti di ogni tipo. Sembra un monumento a futura memoria di come sia sempre possibile sperperare i soldi pubblici.

Ad est, un monumento alla “irrazionalità'”. Il parco “ex-manicomio” è uno dei luoghi più incontaminati della città, con una vista da mozzare il fiato, un parco adatto a qualsiasi altra attività umana tranne che a pubblici uffici. Ogni volta che entro in questo luogo, come per incanto, immagino di incontrare poeti, scrittori, inventori, studenti, famiglie, viaggiatori a piedi o in bicicletta, voliere di uccelli e laghetti con papere, scoiattoli tra gli alberi. Automobili, scooter, personale in camice bianco è quello che però realmente vedo.

Ma il luogo per eccellenza, attore inconsapevole della storia della comunità agrigentina, è la Valle dei Templi e il suo parco. Luogo conteso da due opposte fazioni di agrigentini: ambientalisti e non-ambientalisti. Una terza fazione, forse la più numerosa, che possiamo definire come “spettatori”, non ha mai partecipato attivamente alla contesa, forse perché distratta dalla necessità quotidiana del vivere o perché fortemente apatica. In realtà il termine “ambientalisti” non è corretto, è usato dal sottoscritto in modo volutamente forzato per identificare l'esatta collocazione degli attori di questi ultimi anni della vita politica-sociale-economica della comunità agrigentina. Tanto gli ambientalisti come i non-ambientalisti si sono seduti, in un movimento continuo senza sosta, a – destra – centro – sinistra - di una ipotetica aula parlamentare agrigentina.

La cronaca giudiziaria di questi ultimi giorni riporta in prima pagina la storia recente della nostra comunità. E' del tutto naturale che l'esito di una sentenza scateni la voglia di riscatto sociale e politico da parte dei membri di quella parte della comunità agrigentina, seduta per tanto tempo al banco degli imputati, sia nelle aule giudiziarie e sia nella aule dell'opinione pubblica locale e nazionale. E' da ipocriti negare a questi cittadini la “vendetta mediatica”. Giusto anche chiedere il risarcimento di tutti i danni procurati, tanto ai singoli quanto alla collettività. Ugualmente ipocrita sarebbe non pensare che la Giustizia ha ora il compito di farci capire chi e come ha eventualmente usato la “bandiera ambientalista” per nascondere agli occhi di tutti la propria umana sete di potere. Ma la vittoria giudiziaria consegna ai vincitori anche una grossa responsabilità.

La responsabilità di recuperare il tempo inutilmente perduto, di recuperare dall'apatia la fazione degli “spettatori”, di costruire nuove regole di identità della comunità agrigentina, di costruire l'idea che la Valle dei Templi non blocca lo sviluppo armonico e sostenibile della città verso il mare, di costruire l'idea che la Valle ed il Parco sono come gioielli da proteggere in una vetrina – da mostrare con orgoglio al mondo – ma che nello stesso tempo è assolutamente necessario che questa vetrina non sia esposta in un deserto con attorno il nulla. Ed ancora, che parlare della Valle dei Templi, di come usarla al meglio, del suo effettivo perimetro, non deve essere percepito più come bestemmia o come atto di violenza ad una vergine.

La mia unica richiesta e speranza è che, qualsiasi sia l'idea di come “usare” la Valle dei Templi, non ci si pieghi mai alla bestialità della privatizzazione.

 

 

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