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"A pedate" di Marco Ballestracci

Nel “Finale di partita” di “A pedate”, libro di Marco Ballestracci edito da Mattioli 1885, i dioscuri della narrativa calcistica sudamericana e internazionale, Osvaldo Soriano ed Eduardo Galeano, sono citati come si fa coi parenti lontani da tanto tempo, parlandone con oggettiva deferenza, magari ricordando un avvenimento che ci legava a loro, ma senza lagnarsi della loro assenza e soprattutto senza nominarli per criticarli né incensarli alle spalle.

Questo fuggevole ricordo è segno di modestia ed è uno degli ennesimi elementi positivi di questo libro. Ballestracci dimostra in tutti i racconti che snocciola nel testo di aver saputo prendere dall’arte narratoria di questi due grandi scrittori il meglio, dosandone gli stili e le trovate narrative sulle proprie corde, risultando molto gradevole alla “lettura libera” ed estremamente interessante nella “lettura approfondita” di chi del calcio sa già qualcosa. I racconti non tendono a simulare i narratori di calcio americo-latini, ma a partire da questi acquistano una prospettiva stilistica autonoma e limpida, che sa farsi leggere dal competente e dal poco avvezzo alle cronache e alle storie di calcio.



Inoltre i personaggi scelti per le storie di vita di Ballestracci sono su quel limitare di fama e ricordo che finisce per far interessare al racconto tutti. Non sono raccontate le vite o gli attimi particolari di grandissimi campioni, indimenticabili e osannati ancora oggi, l’autore ha cercato di scavare negli animi e nelle storie, a volte piccole, di seconde linee, di portaborracce, di navigatori dal piccolo cabotaggio (tranne per il racconto su Puskas e Banks).

Come paradigma della porta italiana ad esempio, il prescelto è Ceresoli, non la ieraticità di Zoff, per illuminare lo splendore del calcio brasiliano, la scelta è caduta su Leonidas e Garrincha, non sulla monumentalità di Pelè e lo sterminato codazzo mediatico di Ronaldo (a dir la verità leggermente appassito). Si parla di Frank Borghi e del primo vero “miracle” della storia dello sport statunitense, di Juan Eduardo Hohberg e della sua primitiva voglia di segnare, di Antonio Ubaldo Rattin e di quel marcio giorno in Inghilterra, di Karl Heinz Schnellinger e delle sue prospettive intorno ad una partita che grazie a lui è diventata “del secolo”. Sono tutti piccoli frammenti di calcio visti non sotto la lente d’ingrandimento e perversione storica della notorietà planetaria, ma dietro il velo dell’appena sentito dire, che farà magari meno cassetta ma procura piacevolezza e contribuisce al buon gusto.

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