2 giugno: in cerca di una patria
L’Osservatorio Globalizzazione augura a tutti i suoi lettori una buona Festa della Repubblica e desidera condividere con loro questa riflessione sulla storia, il futuro, le prospettive e le sfide dell’Italia nel mondo globale.
Il 2 giugno, Festa della Repubblica, è la data più adatta per una riflessione a tutto tondo su ciò che l’Italia è, rappresenta e deve continuare a rappresentare per i suoi cittadini, la sua società, il suo popolo. Sul ruolo presente e futuro dello Stato in un mondo globalizzato che, aumentando l’interconnessione tra Paesi e regioni, non lo ha reso affatto superfluo ma, più che in passato, lo chiama a ricoprire un ruolo da pieno protagonista.
Di più. Il 2 giugno è la giornata ideale per riflettere sulla storia d’Italia e sui suoi momenti più salienti. Sulla necessità di riscoprire una patria forte, vitale e coesa, somma degli ideali civici e repubblicani che la Costituzione interpreta e che i cittadini e il governo hanno il dovere di preservare. Una Repubblica plurale, indivisibile, che sia lo spazio d’espressione per le qualità dei suoi laboriosi cittadini e promuova un’appartenenza che troppo spesso è vista antitetica rispetto ai localismi, al frazionismo politico, regionalista o socio-economico. Perché il particolarismo, di per sé, non è assolutamente un disvalore e, anzi, sotto diversi punti di vista fondamentali per la nostra società e cultura (dal patrimonio artistico senza paragoni alla ricchezza enogastronomica, passando per la diversità di folklore e dialetti) è un elemento da tenere assolutamente in conto per conoscere appieno l’Italia. Ma mai bisogna pensare all’esistenza di un conflitto di valori con l’appartenenza, comune, a una patria e a una Repubblica più grande della somma dei suoi componenti.
La riflessione sulla nostra storia, compiuta senza pregiudiziali e con visione di lungo periodo, deve portarci a riconoscere che parlare di Italia significa parlare di molto più rispetto allo Stato unitario sorto nel 1861. Non è retorica: l’Italia è stata, al tempo stesso, espressione geografica, spazio geopolitico, terreno di sviluppo culturale, matrice identitaria ben prima di unirsi politicamente. Cavour non è nostro “padre della patria” univoco perché si inserisce in un filone ampio.
A ritroso, Machiavelli, Dante Alighieri, Ottaviano Augusto. Che elevando l’Italia ad ager romanus e garantendone la suddivisioni in undici, diverse regioni offrì la prima versione di uno spazio coeso sul territorio di quella che è oggi la nazione unitaria italiana. E inaugurando, di fatto, la storia dell’Italia come civiltà, che trascende le innumerevoli suddivisioni della Penisola in potentati autonomi o marche straniere. Bene ha scritto Lucio Caracciolo su Limes: “l’idea d’Italia contiene in sé qualcosa di irrimediabilmente universale, distillato dalle origini romane e preservato dalla Chiesa cattolica. Ciò aiuta a spiegarne tanto il fascino globale quanto la tuttora incompiuta traduzione in Stato nazionale”, a cui fa da complemento la difficoltà incontrata nella promozione di una classe dirigente capace di dare continuità alla sua azione.
A questo lungo e imprescindibile vissuto facciamo riferimento noi, cittadini della Repubblica che per questa continuano a sognare un futuro degno e prospero. Il 2 giugno come data di riflessione invita a capire le grandi potenzialità concrete di cui il Paese dispone per potersi incamminare in una marcia che da tempo sembra essersi interrotta. La posizione centrale nel Mediterraneo, tornato crocevia di dinamiche economiche e politiche di primaria grandezza; un tessuto industriale dotato di notevole proiezione globale; una popolazione dinamica, che nemmeno la più grave recessione degli ultimi decenni è stata in grado di piegare. Invita a riscoprire l’opera dei grandi “architetti” di questa Repubblica passata dalle macerie del secondo conflitto mondiale al rango di potenza mondiale in pochi decenni. Lo ha detto con chiarezza Alessandro Aresu: alle generazioni odierne “tocca dimostrare di essere all’altezza della migliore generazione della storia d’Italia, quella della ricostruzione nazionale”. Parlando con l’Osservatorio Globalizzazione Aresu ha giustamente richiamato all’esigenza “di una maggiore conoscenza delle figure e delle correnti centrali del pensiero italiano, dell’umanesimo e della scienza nel nostro Paese, degli statisti e degli imprenditori che hanno costruito la nostra “religione civile”.
Superando l’idea che per lo Stato possa esserci vita concreta dopo la “morte della Patria”, ovvero dopo un’eventuale decadenza dei simboli dell’unità e della coesione del Paese. Il 2 giugno, di questi, è forse il più coriaceo. Resiste il Tricolore, che disegnato nel cielo sopra l’Altare della Patria è l’immagine più forte della Festa della Repubblica.
Anche la sicurezza repubblicana, che nella costruzione dell’interesse nazionale è senz’altro un concetto centrale, viene considerata spesso in termini strabici, intermittenti, altalenanti. Il recente varo della nave “Trieste”, destinata a divenire il fiore all’occhiello della Marina, è una risposta che richiama alla solida concretezza e ci ricordar dove si trovino le priorità per il nostro Paese: in quel Mediterraneo che è faglia, porta per il mondo e limes per il Paese.
In generale, in Italia si sente più forte che mai il richiamo a un pieno rinnovamento del patto repubblicano, incardinato sulla Costituzione e che necessita di una solida e coerente religione civile, a cui debba conformarsi l’azione organica dello Stato, dei suoi poteri e della sua classe dirigente. A una politica che sappia voler dire “realizzazione”, per parafrasare un celebre detto di Alcide de Gasperi. Realizzazione di uno Stato organico, coeso, in cui la stessa politica non abbia il timore di ribadire il suo primato nell’azione legislativa ed esecutiva ma al tempo stesso rifugga dalla tentazione di un utilizzo partigiano e fazioso delle cariche e degli apparati dello Stato. Sono essi ad assicurarne la continuità oltre l’alternanza dei cicli politici: mettere a rischio la neutralità di istituzioni come Polizia, forze armate e intelligence sarebbe un rischio grave per la coesione del Paese.
A una riscoperta delle potenzialità economiche del Paese, in cui lucidamente credeva Enrico Mattei, “padre della Repubblica” sotto il profilo economico. Parlando nel 1961 agli allievi della scuola dell’Eni, in larga parte stranieri, Mattei pronunciò parole degne di essere ricordate: “Noi ci siamo trovati, sedici anni fa, in una situazione tragica. Sapevamo che c‘era qualcosa da fare, ma solo un piccolissimo numero d’uomini erano preparati per coadiuvarci. Non avevamo le esperienze tecniche nella ricerca degli idrocarburi e gli altri ne approfittavano. Quando ci siamo messi al lavoro siamo stati derisi, perchè dicevano che noi italiani non avevamo le capacità nè le qualità per conseguire il successo. Eravamo quasi disposti a crederlo perchè, da ragazzi, ci avevano insegnato queste cose. Io proprio vorrei che gli uomini responsabili della cultura e dell’insegnamento ricordassero che noi italiani dobbiamo toglierci di dosso questo complesso d’inferiorità. […] Tutto ciò è falso e noi ne siamo un esempio. Dovete avere fiducia in voi stessi, nelle vostre possibilità, nel vostro domani. Ma per fare questo è necessario studiare, imparare, conoscere i problemi”.
Un invito a costruire realmente, fino in fondo, questa Italia repubblicana di cui oggi si celebra la nascita. Un’Italia repubblicana all’altezza della visione dei suoi primi costruttori e che sappia inserirsi appieno nel solco della civiltà e della storia italiana, di tradizione millenaria. In modo che la ricerca di una patria che sia massima espressione e realizzazione delle virtù e delle speranze degli italiani possa aver fine con successo. E quale giorno migliore della Festa della Repubblica per ricordarci come questa ricerca, per quanto lunga e tortuosa possa essere, è una partita degna di essere giocata?
L’Osservatorio Globalizzazione condivide con voi questa importante riflessione sulla storia e le prospettive dell’Italia nel giorno in cui il Paese si riscopre unito. Sperando che possa giovare e animare le riflessioni di coloro che non smettono mai di vedere per l’Italia un destino migliore. Di cercare, con speranza, una patria.
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