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L’uso geopolitico del diritto: Luca Picotti racconta “La legge del più forte”

Oggi il diritto è strumento di competizione geopolitica e, anzi, proiezione della visione strategica delle potenze che forzando la legge vogliono imporre a concorrenti e – spesso – anche alleati i loro desiderata in campo economico, strategico, commerciale. 

Viviamo nell’epoca della legge del più forte nel Far West della globalizzazione in riassesto. E proprio “La legge del più forte – Il diritto come strumento di competizione tra Stati” si intitola il libro di Luca Picotti, giovane e brillante studioso di quella complessa materia che è il geodiritto. Ovvero l’uso fatto dalle potenze delle regole commerciali e di scambio tra i Paesi per condizionare le competizioni e le traiettorie dei rivali. Con Picotti oggi parliamo dei trend che emergono dai suoi studi.

In che misura il diritto è oggi strategico per la competizione geopolitica?

“Mi rifaccio all’espressione utilizzata in un recente intervento su Foreign Affairs da Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente Biden, per descrivere la grande sfida di questa fase storica: “competition in an age of interdependence”. La competizione in un mondo che rimane, nonostante il progressivo congelamento del panorama internazionale, globalizzato e interconnesso. Ed è proprio nelle arterie dell’interdipendenza economica che va ad inserirsi l’arma giuridica: pur non rigettando i rapporti commerciali e lo Stato di diritto, permette, all’ombra delle eccezioni di sicurezza e interesse nazionale, di innalzare certi scudi, ad esempio negli investimenti esteri nei settori strategici, o di indirizzare gli scambi economici vietando l’export di alcune tecnologie a soggetti ritenuti ostili, o ancora di congelare determinati asset. Un armamentario giuridico sofisticato rappresenta lo strumento più efficace per tracciare, difendere e costruire un perimetro di sicurezza nazionale, attorno ai settori sensibili, in cui l’economia soccombe alle logiche geopolitiche. Sempre per citare Sullivan, “a small yard and a high fence”. Un piccolo cortile e un’alta recinzione”.

Si può dire che ci sia un’inversione di trend: dal diritto come forma di cristallizzazione dei rapporti di forza al diritto come strumento per modificarli e consolidarli?

In questa fase storica, il diritto ha assunto un volto più assertivo e, per così dire, politico. Come ha scritto Giuseppe Portonera in una recensione sul Foglio del mio libro, se fino a qualche tempo fa il diritto quale strumento di competizione tra Stati poteva essere letto nella dimensione della regulatory competition – ossia creare contesti favorevoli per attrarre investimenti esteri e stimolare i rapporti commerciali – ora è sempre più frequente il suo uso per interferire nell’ordinaria amministrazione dell’economia. Un deflagrare di norme, regolamenti, provvedimenti volti a creare crepe all’interno della costruzione economica. Crepe entro le quali si muove la politicità delle eccezioni di sicurezza e interesse nazionale: una riscrittura del patto parasociale di Pirelli da parte del governo Meloni, una sanzione a Seagate Technology comminata dal BIS del Dipartimento del commercio americano per avere questa esportato hard disk drives HDD’S a Huawei, un annullamento di un accordo di trasferimento tecnologico tra la coreana L&F e l’americana Redwood Materials perché non vi era stata la previa autorizzazione delle autorità coreane e via dicendo.

Come impatta la corsa globale al lawfare su sistemi come quello europeo, poco propensi al pensiero strategico?

“L’Unione europea nasce come costrutto giuridico-economico fondato sui principi ordoliberali della concorrenza, dei limiti agli aiuti di Stato, della non discriminazione, della libera circolazione dei capitali. Una infrastruttura giuridica volta a contenere le spinte politiche degli Stati membri. Da qui, la famosa saga della golden share, con la Corte di Giustizia che ha censurato, una dopo l’altra, praticamente tutte le discipline nazionali che avevano introdotto poteri speciali nelle imprese in via di privatizzazione. Oggi l’Unione è costretta a ripensare la propria postura. Come competere altrimenti in un mondo ove Stati Uniti e Cina sussidiano le proprie imprese, tutelano i propri settori strategici, concorrono tra di loro a suon di interferenze sovrane sul mercato? Il problema, però, è che per usare strumenti di lawfare bisogna avere una proiezione politica a monte. Devi sapere quale impresa tutelare, quale attore rivale colpire, che obiettivi di politica estera perseguire. Invece vediamo l’Italia che blocca l’acquisizione di Microtecnica da parte della francese Safran nel settore della difesa. Ma allora così siamo in alto mare. Peraltro, mi fa provocatoriamente dire: e parliamo pure di difesa europea?”

In che settori evidenzi maggiori esposizioni all’uso geopolitico e strategico del diritto?

“Ci sono i classici settori della difesa e della sicurezza nazionale che mantengono una dimensione piuttosto sensibile. Poi altri settori tradizionali, come l’energia e le comunicazioni – queste ultime in particolar modo dall’introduzione delle reti 5G. Il grande tema però sono, secondo me, le tecnologie critiche, previste peraltro anche nel Reg. eu. 2019/452 sugli investimenti esteri: questo perché ormai sempre più realtà economiche presenteranno un’elevata intensità tecnologica nei propri processi produttivi, dall’immagazzinamento dei dati alla digitalizzazione delle funzioni. Un tale contesto apre a scenari molto incerti: astrattamente, estende il campo di applicazione delle normative protettive (come il golden power italiano o il cfius statunitense) a qualsivoglia impresa che presenti un minimo di know-how tecnologico. Pensiamo al governo italiano, che è intervenuto nella vicenda Pirelli invocando la strategicità dei sensori Cyber per gli pneumatici sviluppati dalla società. O ancora, sempre per rimanere in Italia, si guardi all’opposizione all’acquisizione da parte della cinese Syngenta di talune controllate del gruppo Verisem, nel campo agroalimentare, giustificata sulla base del patrimonio informativo, il know-how e le tecnologie detenute dalle società italiane, piuttosto che sulla centralità o meno delle stesse nel mercato professionale delle sementi vegetali. Le tecnologie possedute dalle imprese saranno sempre più centrali per l’attivazione di meccanismi giuridici protettivi – con annessi rischi in termini di certezza del diritto ed eccessi di protezionismo”.

Il diritto è usato come arma geopolitica proprio mentre il diritto internazionale rischia di diventare carta straccia. Un altro sintomo della “Legge del Più forte” che da il nome al tuo libro?

“Il titolo rievoca l’approccio realista, tratteggiato da Tucidide nel dialogo tra Meli e Ateniesi, che accompagna un po’ l’intero volume. Di giustizia, scriveva lo storico greco, si può parlare tuttalpiù quando vi è parità di forza tra due popoli; altrimenti, se vi è asimmetria, la legge è, semplicemente, quella del più forte. Questo vale senz’altro per il diritto internazionale, come vediamo nei vari conflitti in giro per il globo. Il “diritto delle nazioni” non è di fatto diverso, per dirla con Thomas Hobbes, altro grande interprete del pensiero realista, dalla legge di natura. In merito a questo, entrano in gioco i problemi del geo-diritto, per usare la fortunata terminologia di Natalino Irti: l’arma giuridica funziona ove il potere sovrano ha giurisdizione, ossia sul proprio territorio e sulle proprie imprese; lì può impedire un ingresso di un investitore estero o congelare un asset. Ma fuori dal proprio territorio, si scontra con altri poteri sovrani. Si entra nel campo del diritto internazionale, per sua natura impotente. Questo evidenzia, tra le altre, la centralità del ruolo della geografia, sia nella sua dimensione naturale-territoriale, che in quella artificiale della giurisdizione”.

In che misura gli Stati possono prepararsi al futuro di questi trend che legano legge e rapporti di forza?

“Dotandosi di uno strumentario giuridico adeguato, senza però abusarne. Costruire un quadro che possa coniugare, il più possibile, la certezza dei rapporti giuridici che ogni Stato di diritto deve tutelare, e la possibilità dell’eccezione di interesse e sicurezza nazionale. In questi anni ci sono stati troppi interventi emergenziali, quasi ad inseguire disperatamente un contesto in profonda evoluzione. E si badi bene, non solo in Italia, ma ovunque, dalla Francia alla Germania. Bisognerebbe iniziare a pensare già ora a come riformulare l’intero armamentario per le sfide future, traendo insegnamento da questo interregno emergenziale”.

Che agenda dovrebbe avere l’Italia per competere in un sistema globale così caotico?

“Per questa domanda vale quanto detto prima, con un appunto ulteriore: l’Italia, proprio perché paese economicamente debole, deve essere ancora più accorta nell’utilizzo delle armi giuridiche, in modo da mantenere un terreno fertile per gli investimenti esteri, di cui comunque abbisogna. In altre parole: non possiamo permetterci la stessa politicità dello strumentario statunitense, che va a sacrificare notevolmente la certezza del diritto. Da qui, un monito finale sul nostro sistema di controllo sugli investimenti esteri, il cosiddetto golden power: nato nel 2012, con una decreto legge, ha subito continue modifiche negli anni, sempre attraverso decreti legge. Il risultato è una disciplina confusa e poco organica. Forse i tempi sono maturi per iniziare a ragionare su una riscrittura sistematica della legge, emancipandosi una volta per tutte dal paradigma emergenziale del decreto legge, che non si confà ad una disciplina così complessa, in cui diritto, politica ed economia trovano il loro più profondo intreccio”.

L'articolo L’uso geopolitico del diritto: Luca Picotti racconta “La legge del più forte” proviene da Osservatorio Globalizzazione.

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