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150 anni ed un vestito stantio

Nel periodo di crisi mistica, perché quella berlusconiana è una fede più che un opionione, è un credo più che un partito, il Premier, in un tintinnio di catene, sguinzaglia i suoi migliori e fidati segugi.

Nel periodo di crisi mistica, perché quella berlusconiana è una fede più che un opinione, è un credo più che un partito, il Premier, in un tintinnio di catene, sguinzaglia i suoi migliori e fidati segugi.

Quelli da caccia e quelli da tartufo.
Quelli da caccia per predare e occultare le informazioni più veloci e sovversive (veritiere) che, come lepri possono sfuggire al controllo superiore, quello commissionato dall'alto; possono nascondersi e scappar via, riprodursi e proliferare, creare nuove idee, incentivare nuovi stimoli e istinti alla giustizia. Così ogni azione, ogni manifestazione apartitica e apolitica corrisposta contro il governo, viene confutata in sovversiva sommossa sinistroide.
 
Poi sguinzaglia i cani da tartufo, perché anche sotto terra, nei punti più nascosti bisogna ispezionare, smussare il terreno vedere che c'è sotto, sondare l'animo e il gusto.
 
Il palato degli elettori non è raffinato, ma è desideroso ed affamato, lui lo sa, e bisogna capire in anticipo come nutrirlo.
 
Così, un Fede quasi sfatto viene equilibrato da un Ferrara tracotante e borioso, che in fin dei conti si rivela un accumulo di nutrimento e lipidi senza sostanza di fondo; così il più che mai governativo Tg1 si affianca ancora di più al vecchio e solido tridente milanese, agguerrito e mistificatore.
 
Insomma, la politica del Premier butta l'occhio oltre il muro per vedere che aria tira, tenta di aprirsi un nuovo varco, e allo stesso tempo cerca di piazzare una toppa su quello ormai sfatto e scucito.
 
Vuole affacciarsi nelle case degli elettori da una finestra nuova, meglio arredata e più composta.
 
Decide che i processi si risolvono in televisione, che il magistrato è la figura che più si avvicina al satanasso, e lui come già ammise non è nient altro che l'unto del Signore.
 
Propone e disfa, allunga il braccio e ritrae la mano.
Un tira e molle di provocazioni, perditempo, e lungaggini di sorta: ora propone la riforma da tanto attesa, ora ritira una legge non più utilizzata.
Perché dietro ci sono gli architetti politicanti che cercano di inventarsi un nuovo arredamento, ci sono i sarti che cercano di cucire un nuovo abbigliamento.
Però, quando la camicia è scucita, il pantalone è bucato, possono anche essere rattoppati, "impupati", ma il vestito non sarà mai come prima. Si può passare una nuova mano di vernice sulla crepa, ma il danno resta, anche se in superfice tutto sembra inerte.
 
E dato ora come ora la politica più che mai è diventata, con le varie compravendite di parlamentari, i botta e risposta scontati, le incursioni televisive, solo e soltanto un vestito da indossare, un tailleur o un semplice gessato, da usare quando più conviene, risulta che alla fine anche se si cambia casacca, la squadra con cui si gioca rimane la stessa.
 
La nuova frontiera della politica è il design, dunque, puntiamo "alla vista", "allo sguardo".
 
Come la dottrina insegna, in periodo di crisi si da via al rimpasto governativo, ma anche quello non è decisivo, non si attua, galleggia soltanto.
 
Insomma, ci si aggiusta il vestito, si aggiunge filo, si arrangia l'orlo, si rattoppa una manica.
 
Il vestito però lo indossa la nostra Penisola.
E quindi in fin dei conti, ora l'Italia, compiuti i suoi 150 anni deve decidere come vuole vestire, come vuole vestire la sua immagine, il suo aspetto, vestire il suo rispetto, i suoi rapporti.
 
Per dirla con un aforismo, l'Italia deve decidere se vuol continuare a sentirsi dire "cose vecchie col vestito nuovo" , o è finalmente decisa a fare il passo avanti quello decisivo che ti porta oltre il guado, o meglio oltre la pozzanghera infangata e sudicia.
 
Si tratta di capire se l'Italia vuole o non o vuole cambiare vestito.
Decidere finalmente di darci un taglio: smettere di fare la mamma parsimoniosa e oculata, che compra le maglie "a crescenza" di tre taglie più grandi, così durano di più, ma andranno sempre scomode.
 
Smettere di fare la mamma adeguatrice, che se si buca il vestito non lo butta ma, ci mette una toppa.
 
Perché l'Italia è stata solo questo fino ad ora. Una mamma bonaria che ha solo raccattato e rattoppato. La classe dirigente è sempre quella, non si butta mai niente.
 
L'Italia non ha mai preso le cose di petto, non ha mai cercato di cambiarsi dal nucleo.
 
Ha lasciato dietro di sé, dietro il suo cammino, lacune insormontabili, coprendole, oscurandole, ottenebrandole fino all'oblio.
Ed ora tutto torna a galla,
Compiuti 150 anni, il vestito che portiamo indosso, visto allo specchio risulta cadente, spezzato e sudicio. E' ora di cambiarlo.
Anzi, è ora di cambiarlo?
 
La domanda rende meglio lo stato di attesa e frusrazione, di precario inventario delle risorse, di consuetudine all' adeguarsi, e mai alla comodità di indossare una maglietta aderente e stirata.
 
Bisogna decidere se all'indomani della festa dell'Unità, sia venuto il momento di fare un salto in sartoria, di decidere di cambiare look, cambiare posa, indossare un immagine confortevole di sè, e non di pavida paura del cambiamento.
 
Via le frasi "scegliamo il meno peggio" "mal comune mezzo gaudio" via le frasi "mi accontento"; decidiamo di fare un passo serio, di tracciare quella linea dietro la quale non si torna.
 
Di fare un investimento.
Ci costerà parecchio vestirci con una nuova maglia e buttare quella vecchia e ormai sudicia.
 
Ma ci tornerà indietro sicuramente il vantaggio di aver finalmente scelto, di aver sfoltito e tagliato, di aver tolto e non semplicemente sostituito.
 
L'adattamento è la realtà più subdola, si può vivere per anni in una casa dimessa, che cade a pezzi, e convincersi che sia il meglio che ci è offerto.
Così non è. L'Italia fino ad ora si è solo adattata.
 
Ha indossato solo quello che c'era, e mai quello che ci sarebbe dovuto essere.

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