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12 aprile 1973, ’Giovedì Nero’: i neofascisti di Milano uccidono il poliziotto Antonio Marino

Il 12 aprile 1973 era un giovedì, come oggi. A Milano, quel giorno, l'estrema destra organizzò una manifestazione di protesta contro la "violenza rossa". Una manifestazione non autorizzata dal Prefetto, ma che ebbe comunque luogo. Vi parteciparono Msi, Destra Nazionale e Fronte della Gioventù. Al comizio finale avrebbe dovuto parlare anche Ignazio La Russa, allora segretario nazionale proprio del Fronte della Gioventù. 

Ben presto iniziarono gli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine. I militanti dell'estrema destra portarono persino delle bombe a mano, che vennero lanciate in direzione della Polizia. L'esplosione di una di esse causò la morte di Antonio Marino, che venne colpito in pieno petto e morì sul colpo. Aveva 22 anni. Altri 12 agenti riportarono ferite a causa delle schegge.

I vertici del Movimento Sociale Italia, nel tentativo di ricostruirsi una credibilità e dissociarsi dai violenti, denunciarono gli autori dell'attentato e offrirono a quanti avessero fatto i nomi dei colpevoli una taglia di 5milioni di lire. Li intascò Gianluigi Radice, che indicò in Maurizio Murelli e Vittorio Loi i responsabili materiali. Al primo, durante l'interrogatorio, trovarono in tasca una tessera del Msi.

Ormai chiamato in causa, l'MSI finanziò i due imputati, offrendo loro 22 milioni di lire per i risarcimenti. Offrì anche alla famiglia di Marino 20 milioni, a titolo di risarcimento. Questi soldi tuttavia non vennero versati, e la famiglia sporse denuncia contro il partito.

Murelli e Loi ricevettero, rispettivamente, condanne a 19 e 18 anni di carcere (la granata omicida la lanciò Loi, ma venne riscontrata l'unicità del disegno criminoso, quindi anche Murelli rispose a pieno titolo del concorso con una graduazione minima della pena): a fornire loro le bombe fu Nico Azzi, anch'egli militante dell'estrema destra. Quel giorno verrà ricordato come il "Giovedì Nero".

Solo qualche giorno prima, il 7 aprile, all’altezza della stazione ferroviaria di Santa Margherita Ligure, proprio Nico Azzi, del gruppo “La Fenice” di Milano (la denominazione milanese di Ordine Nuovo), si ferì nel tentativo di compiere una strage sul direttissimo Torino-Genova-Roma. Nell’innescare in una toilette del treno due saponette di tritolo militare da mezzo chilo, un contatto, forse provocato da uno scossone della carrozza, fece esplodere uno dei due detonatori. 

L’attentatore con una gamba straziata venne immediatamente arrestato. Ma Nico Azzi non aveva agito da solo. Con lui erano stati notati alcuni giovani che nei corridoi avevano a lungo ostentato copie del quotidiano Lotta Continua. La strage, collegata ad altri attentati, oltre che gettare il paese nel panico e spianare la strada a un governo militare, doveva infatti, attraverso false rivendicazioni, anche riorientare a sinistra le indagini su Piazza Fontana, da qualche mese pericolosamente sulle piste delle cellule di Ordine Nuovo del Veneto.

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