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Michele Mezza

Michele Mezza

Vice Direttore Sviluppo Business e Strategie Tecnologiche della RAI. Ex vice direttore di RaiNews24. Titolare del corso teoria e tecnica dei Nuovi Media presso l'Università di Perugia. Dal Gennaio del 2003 svolge un corso di giornalismo di Convergenza presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università di Tor Vergata di Roma e insegna Nuovo Giornalismo multimediale master post laurea presso l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.

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  • Primo articolo martedì 11 Novembre 2008
  • Moderatore da domenica 12 Dicembre 2008
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Ultimi commenti

  • Di Michele Mezza (---.---.---.3) 2 dicembre 2009 10:54
    Michele Mezza

     Le osservazioni di maria Lutero e di Gloria mi sembrano pertinenti. Sono nella testa di tanti e anche nella mia. 

     Devo purtroppo insistere. 
     Parto dall’ultima osservazione di Gloria: Oggi stiamo meglio grazie all’azione di pungolo dei no global. Proprio no. 
     Oggi stiamo meglio perché il capitalismo , dopo un secolo di braccio di ferro con il movimento operaio, cosa ben diversa da quel bovaro speculatore di Bovè e dai sindacati dei camionisti americani ( allora ancora diretti dal giovane Jimmy Hoffa Junior) che guidavano i cortei a Seattle, ha scelto di rovesciare il tavolo e marginalizzare il lavoro materiale, reinvestendo il profitto sociale sul mercato dei consumi di massa. 
     Hai voglia di dire: masse enormi di persone sono state ad ovest liberate dal lavoro coertivo in fabbrica, e a sud dalla fame, grazie ad un’espansione della potenza produttiva del sistema globale. I dati parlano da soli. Le ricerche del 2001 sono archeologia: oggi due terzi delle aree depresse nel 1989 sono i vagoni trainanti dell’economia mondiale, altro che cortei contro la fame nel mondo, organizzati dalla sazia borghesia intellettuale dell’occidente. 
     L’unica cosa che le anime belle dell’europa potrebbero fare per la fame nel mondo è abolire gli indecenti finanziamenti all’agricoltura più ricca del mondo, per aprire il mercato ai produttori del sud del mondo. Chi lo chiede? I pacifisti che fanno? Bovè che dice? Il budget delle rendite concesse agli agrari europei è il triplo del PIL dell’Africa equatoriale.
     Ora il punto è capire come orientare una forza che sta scompaginando i suoi evocatori: la destra americana si è accorta di essere stata un’apprendista stregone, liberando una potenza quale la rete che sta disintermediando ogni centro di potere. Allora il problema è come dare un’anima a questa forza e come ripensare democrazia e sviluppo al tempo dell’economia dell’accesso contro l’economia della proprietà. Questo significa brevetti liberi per i giovani africani, significa basso costo dei farmaci in sud africa, significa centri di studio e di sapere in Niger. Significa pensare l’europa come un grande data base della cultura di base del mondo e non un super mercato per moda e sedie di vip in cerca di snobbismi. A Seattle questo non c’era. A genova neppure. Per fortuna Indiani, Brasiliani, Nigeriani, Cinesi ecc se ne fottono dei no global e competono con Wal street per mutare i rapporti di forza.
     Obama sta in mezzo al momento.Se passa la sua idea di riforma sanitaria si apre un varco ad ovest. Se dopo muta la politica energetica, si aprirà un varco in medio oriente e nell’islam, bloccato dai califfi del petrolio. Quando marciamo contro i califfi? Quando capiamo che un miliardo di islamici sono ostaggio dei petrolieri texani tramite le oligarchie al potere in quei paesi? Non è una prospettiva diversa e più concreta di una sassaiola contro Mc Donald?
  • Di Michele Mezza (---.---.---.3) 12 novembre 2009 20:18
    Michele Mezza

    La domanda che pone Rocco ( perché l’innovazione si sviluppa solo dove c’è libertà?) è indubbiamente il cuore del problema .In realtà lo è da tempo. Da quando si declinava in altri termini: perché lo sviluppo distribuito si genera solo dove c’è una libertà di stampo occidentale?.Max Weber con la sua etica protestante del capitalismo, diede già una risposta. In realtà Marx ne diede una ancora più lucida e radicale: è lo sviluppo che reclama la libertà, e non viceversa.Comer al solito, mi trovo d’accordo con il professor Marx. Lo dico sapendo di non accondiscendere così alla vulgata marxista. Infatti il Marx che richiamo io, ed è quello che oggi viene usato anche da Manuel Castells nella sua ultima e straordinaria opera Comunicazione e potere ( Bocconi Editore), è il grande analista del capitalismo, e soprattutto il grande visionario che intuisce come, mediante il conflitto e il sapere, si possa accompagnare il capitalismo nell’età dell’abbondanza. Un itinerario ben diverso dal comunismo di guerra leninista. Ma lasciamo perdere i retaggi delle vecchie disquisizione filologica sul marxismo autentico, e restiamo ai fatti. Il capitalismo muta il suo dna, passando dalla fase mercantile a quella industriale, ed evolvendo verso una marca informazionalista, come dice appunto Castells, dove si produce valore mediante informazione e si produce poi informazione mediante informazione. Siamo a questo confine, dove la moltiplicazione della potenza di calcolo decentrata al suo ultimo soggetto che al momento è il singolo essere umano, sta trasmigrando oggi ad un’ ulteriore fase estrema che è la robotizzazione delle funzioni intellettuali, e non solo di quelli intelligenti, come è stato fino ad oggi.Sono questi passaggi che hanno performato il regime di convivenza umana, determinando il bisogno di libertà individuale. La California ne è stata un laboratorio spettacolare. Non solo libertà, ma anche abbondanza di beni materiali, autonomia di ogni individuo, pieno riconoscimento di ogni comportamento. Una libertà come ambiente creativo e non solo come regime politico.Oggi questa domanda di una libertà funzionale alla creatività sta tracimenado dall’alveo tradizionale, diventando disintermediazione di funzioni fondamentali, quali ad esempio quelle assicurate dal primato del territorio ( le capitali dello sviluppo non sono più quelle tradizionali) o dal tempo ( il valore della riflessione e della staticità non assicura più la centralità delle funzioni professionali) o dalla proprietà (copyright) o dal denaro (wall street). Tutto questo per dire che , proprio seguendo il ragionamento di Rocco, voglio confermare che sia stato il modello informazionalista, più semplicemente il computer ha determinare l’attuale spinta all’autonomia avviatasi con l’abbattimento di muri e supremazie.Insomma, siamo ancora all’intuizione del professor Marx: il mulino a braccia ti darà la società feudale, il mulino a vapore la società industriale). E il mulino digitale la società in open source.


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