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Indignados: offro il petto al piombo degli immancabili attempati giovanilisti

Perché trovo che la manifestazione e la piattaforma politica degli indignados italiani sia fasulla e non porti da nessuna parte.

Non sono d'accordo per nulla con l'ispirazione e le premesse della manifestazione convocata a Roma il prossimo sabato dai cosidetti indignados all'italiana.

Credo che aver individuato la Banca d'Italia come bersaglio prioritario, in questo contesto, sia peggio di un crimine come avrebbe detto Talleyrand, sia un errore politico.

Mettere nel mirino Draghi significa, infatti, deresponsabilizzare completamente la politica a cominciare dal governo proprio quando, per fortuna, la politica torna ad essere elemento abilitante sul mercato economico globale.

Secondariamente alzare la polemica contro le banche centrali e di conseguenza con la BCE, significa sparare sull'unico rimasuglio di governo europeo contestato non a caso dalla destra più isolazionista ed autarchica. Siamo ancora sulla scia di quei beoti che nel '98 sfilarono a Seattle insieme alle lobby agricole e industriali americane ed europee contro la liberalizzazione degli scambi che loro chiamavano globalizzazione.

Oggi dobbiamo parlare chiaro ai giovani: il loro nemico è chi vuole privilegiare le pensioni agli investimenti sul sapere e sulla competitività del paese.

Il loro nemico è chi è nostalgico di un welfare della paralisi che non farebbe fare al paese un salto in avanti.

Il loro nemico è una classe dirigente che non vuole crescere perché non vuole perdere il controllo sulla stagnazione.

La Banca d'Italia ha mille colpe, ma diverse da quelle oggi imputate: è stata troppo protettiva e corporativamente subalterna ai giochi della politica sulle banche.

Oggi ci vuole una manifestazione che metta in campo chi vuole competere senza compatibilità o prudenze.

Oggi ci vuole una liberalizzazione selvaggia del mercato con un grande protagonismo sociale di chi pensa che la cooperazione e la solidarietà sono fattori di sviluppo e non doti umane.

Sabato non sarò accanto ad insegnati e figli della borghesia impiegatizia che vogliono difendere stipendi a pensioni senza chiedere selezione e competizione. Non ci sarebbe il Gramsci che chiedeva di studiare più del padrone o il Marx che pensava di dover battere il capitale cognitivo che avrebbe superato la fabbrica.

Il resto sono rantolii corporativi da abitanti delusi del centro storico di tutte le città Italiane.

 

Credits Foto: Campania su web

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.181) 14 ottobre 2011 12:13
    Damiano Mazzotti

    Forse non abbiamo ancora capito che la libertà di competizione deve essere legata a sussidi di disoccupazione per tutti: giovani e adulti, professionisti e non, dipendenti e non.

    E bisognerebbe istituire il reddito di cittadinanza, almeno per tutti i giovani dai 18 ai 30 anni. Così gli imprenditori sarabbero costretti ad essere meritocratici invece di passare il tempo a sfruttare i più deboli con state gratuiti (o quasi) e retribuzioni da fame.

    Guardate un po’ qui: www.redditodicittadinanza.com (e informatevi su Giacinto Auriti).

  • Di Massimo Icolaro (---.---.---.252) 14 ottobre 2011 14:52
    Massimo Icolaro

    Dall’articolo parrebbe che siano solo dovute a una serie di sviste colossali e da incompetenti, le gravi condizioni della cosa pubblica in Italia.

    Io penso, invece, che ci sia il dolo, sapere di fare cose ingiuste e rapinare le casse dello stato e la classe politica senza alcuna vergogna, va avanti imperterrita.
  • Di (---.---.---.73) 14 ottobre 2011 18:10

    penso che il rantolio corporativo lo fai tu

    io non voglio che il paese faccia unsalto in avanti nel sensoche vuoi tu, io non voglio la liberalizzazione selvaggia dei mercati (c’è già, ha vinto il più selvaggio), voglio tornare indietro, quando non c’erano i lavori interinali, quanod un dirigente guadagnava al massimo una decina di volte il salario dell’operaio e non 400 volte e quando Banca d’Italia doveva acquistare i tirtoli di stato

  • Di (---.---.---.179) 14 ottobre 2011 19:09

    Interessante. C’è ancora chi crede (dio solo sa se in buona o cattiva fede) nella Rivoluzione Liberale, nel senso classico, "hayekiano" nel termine "liberale". 


    Si tratta di una minoranza molto ben organizzata che, come dimostra anche il curriculum del Prof. Mezza, riveste ruoli di primo piano nel mondo della politica, dell’impresa e dell’informazione, e che grazie ai suoi vari "house organ" (Repubblica, il Fatto ecc.) e ai partiti e movimenti politici che di volta in volta coopta (PD, IDV, Popolo Viola, Libertà e Giustizia ecc.), ha un grande potere sull’opinione pubblica e nella mobilitazione del consenso. 

    Oltre a prendersela, giustamente, con caste politiche, banchieri e "padroni", gli indignados dovrebbero cominciare a lavorare su due compiti molto importanti: (1) elaborare adeguati strumenti analitici, dialettici e comunicativi per battere questa propaganda con le sue stesse armi; (2) mobilitarsi in sinergia con quei settori della società che a questa propaganda stanno diventando immuni, per il semplice fatto che le conseguenze di queste "liberalizzazioni" e dell’austerità le vivono sulla propria pelle in termini di disoccupazione, perdita di potere d’acquisto, perdita di diritti; mi riferisco, ovviamente, al mondo del lavoro (operai, impiegati, precari, artigiani, liberi professionisti ecc.), senza la cui mobilitazione, organizzata su vasta scala, ogni rivoluzione è invariabilmente destinata a fallire.

    Oggi più che mai, vale la pena citare la famosa frase di Rosa Luxemburg: socialismo o barbarie

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