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Un pensierino sui Monti bond e MPS

Per chi è appassionato di vicende economiche e bancarie il caso MPS è oggetto di indagine e di conoscenza molto significative.

Il dibattito intorno a MPS si è sviluppato intorno alla questione se il crack fosse dovuto all'ingerenza dei partiti o alla inefficienza dei suoi dirigenti. La mia ipotesi è che sicuramente fondamentale è il primo aspetto, che ha condizionato l'agire dei suoi massimi dirigenti e della Banca d'Italia insieme al Ministero del Tesoro.

Prendiamo per esempio l'aiuto di Stato che Monti ha autorizzato e i Monti-bond emanati per salvare la banca (3,9 miliardi più altri 500 milioni). Ma è questo uno strumento finanziario efficace in questi casi?

Molti hanno dei dubbi, da un lato è un prestito, perché prevede il pagamento degli interessi, che sono anche salati: 9 per cento iniziale, destinato a salire fino al 15 per cento. Dall’altro, è capitale, per due ragioni: non c’è alcuna scadenza, quindi non c’è una data entro la quale i Monti-bond devono essere restituiti; dall'altro i Monti-bond partecipano al rischio di impresa al pari delle azioni; in particolare, se la banca subisce perdite tali da portare il suo rapporto patrimonio/attivo al di sotto dell’8 per cento regolamentare, il Tesoro condivide le perdite con gli altri azionisti. A differenza di questi, però, il Tesoro non può dire nulla sulla gestione della banca.



I Monti Bond sono nati nel luglio scorso per dare una risposta all'Eba (l’Autorità bancaria europea) che imponeva ad alcune banche di aumentare la loro capitalizzazione, a causa delle potenziali perdite sul portafoglio di titoli di Stato.

Sì, è proprio così: l’intervento della Stato in Mps è nato dalla forte esposizione verso lo Stato italiano. Un giro di conti nel quale la Banca è l'unica beneficiaria. Lo Stato si indebita per pagare i suoi debiti attraverso le Banche

Naturalmente c'è un'altra strada per alimentare il patrimonio di una banca e cioè chiedere capitali al mercato, ai soggetti privati. Ma cosa impedisce questo? Un aumento di capitale avrebbe comportato un esborso da parte della Fondazione (nel cui CDA siedono i partiti attraverso gli enti locali) che la stessa non voleva/poteva. Il ricorso ai debiti era stato fatto già nel 2011 (cosa vietata per una Fondazione) ma che l'allora ministro Tremonti aveva autorizzato.

Né d'altra parte la stessa acconsentiva a rivolgersi verso l'esterno. Ciò avrebbe aperto all'esterno l'ingresso di azionisti fluidificando la proprietà delle azioni e abbassando quindi l'influenza della Fondazione nel controllo della Banca. Di qui l'influenza della Fondazione nelle decisioni dirigenziale e quindi l'interferenza partitica nella gestione, da un lato, e la debolezza o voluta sottomissione della dirigenza dall'altro.

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