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 Home page > Attualità > Economia > Gli invidiosi tedeschi e la sussidiocrazia italiana

Gli invidiosi tedeschi e la sussidiocrazia italiana

La crescita italiana "asfalta" quella tedesca, narra la leggenda. Partono italici trenini e germanici esami di coscienza. Poi, improvvisamente, l'epifania: che sia stato soprattutto a causa del nostro doping fiscale?

Narrano i luoghi comuni a sfondo nazionale che i tedeschi siano sempre percorsi da ansie e inquietudini, la famosa Angst. Non riescono proprio a essere spacconi, a differenza degli italiani, secondo l’altro un po’ stucchevole topos antropologico. Pensate come si sentono, oggi, i tedeschi, con un’economia al punto di svolta, nel senso di rottura di un paradigma che ha funzionato per lunghi decenni.

Crescita e ordine fiscale, una ricetta magica da mostrare con sobrio compiacimento agli italiani, quelli per i quali il deficit è come il caffè “Crema e gusto”: ogni momento è quello giusto. Magari mettendolo in carico a qualche altro paese a mezzo della parolina magica, “solidarietà”, mentre si ostenta al mondo una improbabile eredità culturale plurimillenaria e grandi ricchezze materiali, che per nessun motivo devono essere sacrificate a ridurre quel magico deficit.

CIAO, POWERHOUSE

Condizionato da questi frusti luoghi comuni, ieri mi è passato sotto gli occhi, nel mio flusso di notizie che a volte sconfina in quello di coscienza, un titolo del sito di Deutsche Welle, che poi sarebbe l’equivalente tedesco di Voice of AmericaRadio France Internationale e BBC World. Ve lo mostro qui sotto perché quel titolo non esiste più: l’ho catturato attraverso il feed RSS.

All’inizio vi confesso che ho creduto si trattasse di una sorta di trollata contro l’Italia. Poi però mi sono ricordato che i tedeschi, mediamente, non sono molto vocati a trollare. Subito mi è balzato quindi alla mente l’altro luogo comune: l’Angst. I tedeschi si sentono smarriti perché hanno perso la crescita, lottano con gli zerovirgola e galleggiano sulla linea della famosa “recessione tecnica”. Che poi sarebbero due trimestri di contrazione del Pil “ma non è una vera recessione, è un po’ un modo di dire”, come leggiamo da lustri qui in Italia quando a finire in questa palude siamo noi. Cosa che capita (capitava) molto di frequente.

Poi, improvvisamente, tutto è cambiato: i tedeschi stagnano, l’Italia vola. Vola, oddio. Siamo nel 2023 a più 0,9 per cento di crescita, all’incirca pari alla media della Ue. Ma tanto è bastato per far gonfiare i petti e tirar dentro le pance, nelle nostre lande. Cresciamo più della Germania, tiè! Ora dovranno rompersi la testa per scoprire il segreto del nostro successo. Perché noi siamo creativi, siamo gli eredi di un impero, il mondo ci invidia, mangiamo da dio (o meglio, lui si nutre della nostra ambrosia stellata).

Avevo archiviato il titolo e la mia presuntuosa analisi di sociologo da dopolavoro mentre attendevo che l’anestesia per l’estrazione di un dente del giudizio svanisse e mi riportasse alla mia routine. Passano poche ore, e il feed di Deutsche Welle cambia il titolo. Lo scopro per puro caso:

PRIMA E DOPING

A-ha! Ora direi che va decisamente meglio. I titolisti di Deutsche Welle hanno ricostituito il loro deficit di autostima, mi sono detto, in attesa di tornare a perderlo a breve. A quel punto, s’imponeva la lettura del pezzo. Lo so, gli articoli non si devono pre-giudicare da titoli, sommari e occhielli. Sono il primo a chiederlo con forza a tutti gli aspiranti cabarettisti che commentano i miei pezzi solo su quegli elementi, e a volte solo dall’immagine del post. Ma tant’è.

Leggo quindi l’articolo, ed ecco l’epifania. Certo, l’Italia da qualche anno cresce in modo notevole, per i suoi pregressi. Certo, sono almeno tre anni che dà la birra ai tedeschi, il che è tutto dire. Però. Però, ecco l’elefante nella stanza, nascosto in piena vista: l’Italia è dopata dal deficit!, esplode l’epifania germanica del pezzo.

Le tre grazie, soprattutto la terza, ringraziano. Però, vedete come va il mondo: a volte ci sfuggono dettagli abnormi. Forse perché, nel caso specifico, eravamo abituati a un paese che, malgrado i deficit, decresceva cocciutamente. Ora pare che questa tradizione sia stata infranta. I paragrafi dell’articolo di DW, però, continuano a suggerire che il recupero di autostima tedesca abbia sconfinato nel trolleggio. Italia “Da bambino difficile a primo della classe”, “Torna la fiducia nel governo italiano”, con tanto di foto di Giorgia Meloni secchiona che pare spiegare come funziona il mondo al plasticamente non troppo sveglio Kanzler Olaf Scholz. Potenza delle suggestioni, e delle foto di archivio.

Poi, ecco la campanella di fine ricreazione: un analista di Commerzbank, ma potrebbe anche essere l’avventore di un bar di Lubecca, sentenzia: l’Italia cresce a botte di deficit e debito. Pensate al Superbonus, ma anche al PNRR. Il secondo, a onor del vero, si muove col freno a mano tirato, incatenato da burocrazia italiana ed europea. Però qualcosa fa e farà. Quando questa tendenza finirà, anche questa singolare stagione ferroviaria, con locomotiva e spaghetti, terminerà. A terminare, al momento, pare essere il Superbonus.

CORNICI E CIRCHI

A naso e occhio, sono incline a pensarla allo stesso modo. Se riuscissimo a cambiare le cornici della nostra mente, il famoso framing, dovremmo essere noi quelli aggrediti da Angst per aver fatto nel 2023 una crescita dello 0,9 per cento con un deficit del 7,2 per cento, provenendo dall’8,6 per cento di disavanzo del 2022. Come mi diceva ieri un sagace amico, “ormai in Italia ogni deficit sotto il 10 per cento viene bollato come austerità”. Temo anch’io.

Né siamo stati aiutati (anzi, il contrario), dal fatto che il nostro rapporto debito-Pil del 2023 sia inopinatamente sceso, e non poco. Ciò ha dato il fiato e le trombe a legioni e loggioni di nostri keynesiani da dopolavoro e filarmonica: “avete visto? Più deficit vuol dire far calare l’indebitamento, chiedete scusa!”. E hai un bel dire e spiegare che no, il calo del rapporto di indebitamento è stato causato da uno shock positivo di offerta sui prezzi dell’energia, che ha al contempo migliorato il saldo netto con l’estero e gonfiato il Pil nominale, per un arcano calcolo legato al cosiddetto deflatore delle importazioni.

Ma che sono queste str…egonerie? Più deficit uguale meno rapporto di indebitamento, e così sia! Come finirà, questa esaltante stagione della locomotiva italiana? A me, che sono ormai stagionato, ricorda molto i trenini del craxismo trionfante. Quello del deficit primario in doppia cifra che induceva crescita e portava Bettino e la sua corte a pavoneggiarsi per improbabili primati di crescita, europei e mondiali.

Proprio come sta accadendo ora, con le faccine ingrugnite e a volte buffe di Giorgia Meloni e famigli d’Italia e sempre col codazzo di qualche pertinace Pangloss che ci spiega che siamo i migliori perché “abbiamo fatto meno debito degli altri, al netto della spesa per interessi”. Che pare sia a sua volta debito, però. Un po’ come dire che, scorporando il deficit dal deficit, non avemmo deficit. Ecco, quello.

Ma non sottovalutate l’incapacità a comprendere un testo: come quando, settimane addietro, il Financial Times ha titolato sull’Italia “unlikely ouperformer“, sottotitolando di “Pil fai da te”, e spiegando la botta di zuccheri con i bonus edilizi, e il conseguente futuro debito. Sui social abbiamo visto gente, di provata fede progressista e oltre, esibire quel titolo e quei grafici come fossero il nuovo Capitale di Marx, saltando a pie’ pari le conclusioni e la diagnosi dell’articolo. Doping:

While tackling energy efficiency and housing decorum, the measure did little to tackle the country’s long-term challenges, such as poor productivity growth and the oldest population in Europe. Well, that’s not much for uplifting news after all.

Sono gli stessi che, nei giorni pari, bollano il Financial Times di essere l’house organ del globalismo finanziarizzato, quello che riduce in schiavitù cuori e menti in tutto il disgraziato pianeta. Sono anche gli stessi che sbandieravano le copertine dell’Economist, “prestigioso settimanale britannico”, contro Silvio Berlusconi unfit. Ora sono un po’ più accorti, dopo aver saputo che la testata appartiene agli Agnelli-Elkann. Ma se c’è da sventolare qualcosa contro “questa destra immonda”, è ancora più che fit.

Non so se a breve toccherà ai tedeschi esercitarsi nella Schadenfreude verso gli italiani e la loro fugace e costosa stagione di “crescita”. Lo scopriremo. Ma a volte ho l’impressione di trovarmi in un gigantesco Truman Show. Allestito sul set di Idiocracy. E, per restare in tema, sapete che accadrà, quando torneremo alle origini della non crescita? Che sentiremo il gracidare di tutti quelli che “avete visto che era il Superbonus a farci crescere? Chiedeteci scusa!”. Non illudetevi: il set di Italian Idiocracy, nota anche come SubsIdiocracy,non smobilita. Mai.

P.S. A proposito di framing e idiocrazia, il mio sagace amico mi faceva anche notare il contrasto tra il nostro deficit king-size, passato sotto silenzio e senza troppi esami di coscienza collettiva, e i fremiti di sdegno nazional-popolare che da noi si levarono quando si scoprì (si fa per dire) che “i tedeschi truccano i conti”, per un deficit-Pil che era al 2 per cento anziché allo 0,3 per cento. Certo che, senza gli italiani e i loro nasi rossi, la Ue sarebbe un posto ben triste.

E la foto di questo post? Ma è un logoro stereotipo, che domande.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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