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Ugo Di Girolamo

http://mafiepolitica.blogspot.it/ Autore di "Mafie, politica, pubblica amministrazione".
 

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Ultimi commenti

  • Di Ugo Di Girolamo (---.---.---.173) 22 giugno 2011 11:37

    L’articolo è stato comunque pubblicato su Strozzateci tutti e si intitola "Il ruolo della corruzione nel fenomeno mafioso".
     Lasciamo perdere le iniziative volontaristiche e parliamo di una istituzionalizzazione a livello provinciale di un simile organo. Le obiezioni principali alla Stazione unica appaltante sono essenzialmente due:
    1 - Da chi dovrebbe dipendere la STA ? da un organo politico come la Provincia? oppure dalla prefettura? nel primo caso non vedo cosa cambierebbe rispetto alla situazione corrente attuale, nel secondo si finirebbe per assegnare al ministero degli interni (nel caso di affidamento alle prefetture) un controllo sulla spesa degli enti locali. Nella situazione odierna il signor Maroni potrebbe mettere lingua negli appalti del comune di Milano o Napoli. Non mi sembra cosa buona rispetto al precedente impianto istituzionale.

    2 - Come pensa che reagirebbero le organizzazioni mafiose? direbbero "caspita siamo fregati non possiamo più controllare gli appaliti" oppure proverebbero a penetrare anche nella STA?
    Le prefetture hanno gestito da anni il rilascio dei certificati antimafia e la storia ha dimostrato che il sistema non era a prova di infiltrazioni. Inoltre, proviamo a immaginare come reagirebbero i clan. Un singolo clan probabilmente non avrebbe la possibilità di condizionare la STA, ne forse ce l’avrebbe il clan insediato nel capoluogo di provincia, la conseguenza più ovvia è che i diversi gruppi criminali di una provincia finirebbero per consorziarsi. A tutt’oggi solo le province siciliane e quella di Reggio C. sono dotate di strutture organizzative unitarie, gerarchizzate, di controllo dell’intero territorio provinciale. In provincia di Caserta all’inizio del 2008 si era giunti in una situazione prossima all’unificazione provinciale dei clan, le vicende successive hanno impedito questo cammino. Il solo rischio di spingere i clan a unificarsi provincia per provincia sull’intero territorio nazionale dovrebbe sconsigliare questa strada.

     Se poi ci mettiamo a discutere delle possibilità per i clan di controllare "indirettamente" le gare di appalto, allora è meglio cambiare strada.

     La verità è che la sinistra italiana (tutta) non ha alcuna strategia per sradicare il fenomeno mafioso dall’Italia e allora è dall’inizio degli anni 90 che tira a campare, aggrappandosi a provvedimenti che di volta in volta si sono dimostrati inadatti e che tali erano se solo ci si fosse pensato un po meglio prima. La verità è che l’intero ceto politico italiano nel rifiutare pervicacemente un sistema di controlli di legalità sul proprio operato apre spazi immensi - attraverso al corruzione - alla penetrazione dei clan negli apparati dello Stato. 

  • Di Ugo Di Girolamo (---.---.---.193) 21 giugno 2011 20:01

    Ciconte ha ragione, il cuore della questione mafiosa è il rapporto tra gruppi criminali organizzati e politica, per sconfiggere le mafie occorre spezzare questo rapporto. Gli strumenti legislativi oggi esistenti deputati a interrompere questo legame sono essenzialmente 2: la legge 221/91 per lo scioglimento degli enti locali infiltrati e il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Cantone si è fatto potavoce da un paio di anni, insieme a Forgione, della stazione unica appaltante. Di questi tre strumenti il primo è stato annullato con il cosiddetto decreto sicurezza dell’estate 2009, il secondo non è mai riuscito ad impensierire i politici, in quanto reato di difficile dimostrazione, il terzo che - al momento - è solo una proposta a mio avviso finirebbe per aggravare la situazione senza ottenere i risultati sperati. Ci sarebbe un’altra strada da percorrere per spezzare questo antico legame e su questa ipotesi all’incirca un mese fa ho inviato un articolo da me preparato alla redazione di agoravox. A distanza di un mese e più non so questo articolo che fine ha fatto, se si è perso nei meandri del web o se molto più probabilmente la redazione lo ha ritenuto - al pari di Narcomafie - inopportuno.

  • Di Ugo Di Girolamo (---.---.---.36) 9 giugno 2011 18:05

    Premesso che condivido lo spirito (e i fatti) dell’articolo, credo sia opportuno che la sinistra faccia per bene i conti con la questione mafiosa e la smetta di pensare che la lontana eredità del PCI possa ancora consentirle di continuare nello stereotipo che la mafia è di destra e la sinistra per sua natura ne è immune, salvo errori individuali.
     E’ incredibile come gli italiani - anche quelli politicamente impegnati - conoscano poco la loro storia.
     L’antimafia, tanto per capirci, è nata a destra; perché tali erano Silvio Spaventa, Marco Monnier, Leopoldo Franchetti, Sidney Sonnino, Pasquale Toriello, Giustino Fortunato, Pasquale Villari (seppur questi ultimi due democratici liberali), e così via fino a Cesare Mori.
     Ciò nondimeno, la destra di governo (liberali prima, fascisti dopo e democristiani di Scelba e De Gasperi) hanno sempre usato le mafie in funzione antipopolare, a cominciare dalla rivolta dei fasci siciliani fino alla lotta di occupazione delle terre del PCI nel secondo dopoguerra. Tra il 1947 e i primi anni sessanta "cosa nostra" ha ucciso oltre un centinaio di militanti comunisti in Sicilia.
    Dopo Mori la destra italiana non ha più per un lungo periodo espresso personalità di forte spessore antimafia. Bisognerà arrivare a Borsellino, prima di ritrovare esponenti politicamente di destra fortemente schierati contro la mafia.
     E’ da queste vicende e dal fatto che poi i democristiani hanno usato le mafie per la raccolta del consenso elettorale che nasce lo stereotipo della destra (moderata o autoritaria) schierata con la mafia e una sinistra estranea ad essa, nonché geneticamente nemica dei mafiosi.
     In realtà le cose nel PCI cominciarono a cambiare già nel corso degli anni 70 e a quell’epoca risalgono i primi sussurri di complicità, in Sicilia e in Campania (non conosco la situazione calabrese dell’epoca). La sinistra - sia essa moderata che radicale - se pensa di poter vivacchiare sugli stereotipi del passato è destinata ad amare sorprese per il futuro prossimo.
     
     Fate un esercizio! provate a delineare qual’è oggi la proposta politica dell’intera area di centro sinistra (e metteteci anche i grillini) per arrivare a distruggere le mafie italiane, vi accorgerete che ........ non esiste !!!!!

  • Di Ugo Di Girolamo (---.---.---.36) 6 giugno 2011 20:57

    Nazismo, fascismo, franchismo, peronismo, maoismo, stalinismo, leninismo, tutte teorie politiche frutto di complessi modelli interpretativi della realtà sociale, idee per niente rispettabili. Questa storia della rispettabilità di ogni diverso pensare è stucchevole e falsa. La "teoria totalitaria dell’occidente"?, ripeto è l’ultima versione dell’ideologia terzamondista, elaborata dalla sinistra radicale internazionale negli anni sessanta. La tua - scusami la franchezza, ma forse è l’unico modo per bucare la tu rete ideologica - è una visione dei rapporti internazionali ferma a qualche decennio fa e non tiene conto della presenza di attori internazionali quali il Giappone, la Cina, l’India, il Brasile, il Sudafrica, e fra non molto dell’Indonesia.
     In ogni caso provo a fornirti una chiave interpetrativa dei rapporti tra occidente e resto del mondo ricorrendo ad una fase analoga vissuta nel lontano passato.
     La scoperta dell’agricoltura è avvenuta all’incirca nella stessa fase storica in più parti del mondo, Nord della Cina, Mezzaluna fertile, Egitto, Centroamerica e Perù, forse anche in altre due parti. Cosa pensi che sia avvenuto nel rapporto tra queste 5 o 7 aree e il resto del mondo dell’epoca?
     Non sappiamo cosa è avvenuto in america, ma sappiamo cosa è accaduto in Cina e in Europa. In una società di cacciatori raccoglitori il rappaorto tra abitante e territorio trofico è di 1 per chilometro quadrato, nelle aree più ricche di selvaggina, o di 1 per 10 Km2, nelle aree più povere. Di contro nelle società contadine il rapporto va da 10 a 80 per chilometro quadrato. Il maggior numero di persona dava a questi ultimi un vantaggio decisivo. Cosicché i contadini del nord della Cina partirono alla conquista delle aree dei cacciatori raccoglitori sostituendoli integralmente (sterminandoli o spingendoli in aree sempre più povere e lontane). In Europa il processo documentato dagli archeologi è stato più complesso. Nelle aree costiere del mediterraneo la sostituzione è stata integrale, nell’interno invece molti popoli si sono fusi passando all’agricoltura. I Baschi sono un raro esempio di popolazione precontadina sopravvissuta alle invasioni dei contadini.
     Qualche migliaio di anni dopo, in una parte ristretta dell’Europa parte il rinascimento, seguito dalla rivoluzione scientifica e da quella industriale. Dalle società contadine si passa a quelle industriali, l’enorme potenza di queste ultime ha consentito di debordare dai confini continentali.
     Quale problema si sia posto a tutte le società contadine del pianeta, da quella civilissima e sviluppatissima cinese alle altre del medio oriente, del Giappone, dell’India e via di seguito, è il tema dei due volumi che ti ho consigliato. Le diverse risposte, non ancora giunte tutte a compimento, costituiscono materia politica dibattuta. Pensa alla rivoluzione meinjii del Giappone di metà ottocento o alla rivoluzione di Ataturk del 1922/3 o a quello dei partiti Baath di Siria, Irak e Egitto del secondo dopoguerra. 
     Pensare di mettere sullo stesso piano chi si oppone ai processi di modernizzazione (Islamismo fanatico) e chi invece nel mondo islamico spinge per una modernizzazione (guardatelo , almeno su Wikipedia , quello che fece Ataturk o quello che hanno provato a fare Nasser e altri leader arabi) è come mettere sullo stesso piano i repubblichini di Salò e i partigiani. Ecco perché ho reagito con fastidio al tuo articolo.

  • Di Ugo Di Girolamo (---.---.---.150) 27 maggio 2011 19:48

    E’ probabile che l’entusiasmo degli europei abbia sopravvalutato quanto accadeva in Egitto, come pure è credibile che Gamal fosse indigesto ai vertici militari e che questi abbaino approfittato dell’occasione per regolare i conti, ma ridurre il tutto - come fai tu Luca - ad una manovra di palazzo accompagnata da una sceneggiata di piazza mi sembra davvero eccessivo.
     Chiunque abbia un minimo di esperienza di movimenti e manifestazioni sa che per portare 100.000 persone in piazza (in un paese democratico) occorre un numero dieci volte superiore di persone che condividono gli obiettivi, figuriamoci tenere trecentomila persone in piazza per più giorni, sfidando una polizia odiosa e criminale, che ha fatto molti morti.
     E’ ragionevole sospettare che i militari vogliano tenersi per se tutto, o quanto più possibile, il potere, ma è altrettanto ragionevole pensare che coloro i quali non hanno fatto le comparse ma gli attori protagonisti vorranno continuare a farlo. La partita è aperta.
     Per quanto riguarda poi la indubbia crisi dei regimi militari arabi,sorti nei primi anni 50 sul modello turco, incapaci di realizzare l’obiettivo della occidentalizzazione dei loro paesi, evito di entrare nel merito di quanto dici, il discorso si farebbe molto lungo. In ogni caso la mia posizione in merito è quella delineata da Luciano Pellicani in "Jiad, le radici" e da Avishai Margalit, Jian Buruma in "Occidentalismo".

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