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Scoprendo Lost. La storia, i personaggi e la sua filosofia.

"La filosofia di Lost" di Simone Regazzoni. Niente Spoiler, solo un bel libro e valide teorie.

Il 23 aprile alla Feltrinelli di Torino, Simone Regazzoni ha presentato il suo ultimo libro: La filosofia di Lost (Ponte delle Grazie, pp. 168, € 12.00)

Già autore di “Harry Potter e la filosofia” e “La filosofia del Dr.House” l’autore ha deciso di esplorare il microcosmo dell’Isola utilizzando la filosofia classica. Questo partendo dal presupposto onorabilissimo che, come ha tenuto a precisare durante la presentazione “Un filosofo non deve per forza avere più di cinquant’anni per considerarsi tale (lui ne ha 34 n.d.r.) ed è possibile applicare il pensiero classico alla modernità della “finzione”televisiva, senza scandali o storcimenti di naso”. Regazzoni non si limita però ad analizzare superficialmente il fenomeno Lostiano, ma cita gli episodi, le fonti del web, a volte riporta addirittura i dialoghi dei personaggi, che sfoggiano sì nomi di filosofi e fisici, ma non se ne curano affatto, lasciando allo spettatore la possibilità creativa dell’interpretazione e della ricerca degli indizi sparsi a regola d’arte.

I 17 capitoli del libro sono un viaggio tra le domande che ci si pone almeno una volta, se si conosce la serie. Una serie che è quasi “un’opera d’arte degna, e a volte migliore, di molte opere esposte nei musei d’arte contemporanea, è al contempo disaster movie e fantascienza, Jules Verne e Stephen King, Bibbia e Odissea, romanzo sperimentale e saggio filosofico”.

Si parte dalla definizione di Isola che in Lost ha un nome, Herbert Jablonski, e che quindi distrugge le normali certezze spingendo a chiedersi “chi è?” e non “cos’è?” l’Isola che provoca visioni, che da istruzioni, che stimola sogni profetici proprio come avviene nella Bibbia. Ma per chi ha buona memoria la spiegazione potrebbe coinvolgere anche la fantascienza grazie al libro di Philip Dick che legge Ben nell‘episodio IV.4 “Valis”, che è anche un film, la cui trama si basa sull’esistenza di un satellite intelligente di natura non umana che influenza la vita sulla terra.
Si continua a precipitare verso la spiaggia e i suoi abitanti attraverso la teoria del relativismo, con “gli Altri” che sono sempre altri per qualcuno, e a rotazione ognuno nemico dell’altro prima di ottenere uno scampolo di fiducia, si affronta il tema della tortura, di cui Sayid è portatore sano riconosciuto e ammesso, usata per estrapolare verità, mostrata senza pudore o per nascondere una volontà di morte, come sosteneva Nietzsche.

Interessante anche il paragone fra la figura di Jack e quella di Locke, il primo simbolo della razionalità fino allo stremo delle forze (e della noia), il secondo paladino della fede nell’isola e del suo immenso potere. Durante la prima stagione è Jack che conduce il gioco, il medico razionale che si attiva per primo per salvare vite, che stimola la fiducia, che organizza il campo. Locke però è l’unico che pensa a come sfamare i superstiti, che ha una connessione invidiabile con l’isola e le sue manifestazioni mistiche, toccato dal miracolo attraverso la guarigione, Locke è credenza incrollabile e quello che nel libro è definito “sentimento oceanico”. Il sentimento si esprime attraverso i sogni che sono vere e proprie esperienze rivelatrici soprattutto se si parla di Jacob, il mistero più fitto di Lost. Che sia una manifestazione dell’Isola? O un dio pagano in cerca del suo nuovo servitore, o un’ennesima visione che confonde reale e immaginario (ricordate le visioni di Hurley)?

Ho chiesto a Simone Regazzoni, alla fine dell’intervento sul suo libro, verso quale finale propendesse tra i molti papabili e tra i molti autoprodotti che circolano fra i fans. Lui ha optato per quello mistico-fantascientifico: “Sono propenso a considerare un collegamento con Atlantide, ma anche con lo sci-fi e Philip Dick, trovo che un essere di natura mista quindi umana e fantascientifica possa spiegare alcuni avvenimenti”.

Nel libro non troverete spoiler o risposte alle domande che vi tormentano da sei stagioni, ma degli strumenti per capire che c’è davvero una filosofia che percorre una serie tv in lungo e in largo, che quello che avete provato durante le lunghe discussioni con il vostro gruppo di visione è ampiamente condiviso. Troverete inoltre un elemento strano in un libro di cotanto tema, ovvero il rivolgersi dell’autore a un lettore di sesso femminile. Non è un errore, nè una volontà pragmatica di esclusione del sesso maschile, ma una connotazione precisa che l’autore dà al suo parlare e pensare filosofico. Nel paragrafo “TU” compare: “Un filosofo non potrebbe essere mia madre, perchè la figura del filosofo è sempre una figura maschile, diceva Derrida. Auspicando, al contempo, un avvenire al femminile, per la filosofia. E’ a questo avvenire che guardo. Per questo mi rivolgo unicamente a te. Quando penso, io penso al femminile”.

E visto che al femminile questa splendida scrittura si rivolge, raccoglierò la sfida di una filosofia con il doppio cromosoma x e dirò che una teoria su Herbert Jablonski ce l’ho anch’io. Jablonski come si sa è il cognome del famoso fisico, e del diagramma, che spiega il movimento delle molecole e le fluorescenze. Se si cerca Herbert però, io ho usato un’enciclopedia alla vecchia maniera, si trova questo:




Herbert di Cherbury, filosofo inglese:
vissuto nell’era delle controversie religiose, si rifece a dottrine neoplatoniche e stoiche per formulare una dottrina secondo cui:
L’istinto naturale fornisce agli uomini nozioni comuni "innate" e non derivate dall’esperienza. Nel De Veritate (1624) illustra i principi tra cui:

- esiste un potere supremo creatore di tutte le cose, gli uomini hanno il dovere di venerarlo

- è doveroso pentirsi delle cattive azioni e ravvedersi

- agli uomini sono riservati premi e castighi ultraterreni

In ogni religione, anche quelle pagane, secondo Herbert sono presenti tali principi anche se non in forma pura.
La religione "naturale" contiene tutto ciò che è necessario alla salvezza. Contro l’innatismo si sviluppò anche la base del pensiero di un altro filosofo J.Locke che ne dava esempio ne il "Saggio sull’intelligenza umana"

Spero sia uno spunto, che viene da me non dal libro nel caso la neuro avesse bisogno di valide ragioni, almeno per riflettere sul rapporto fra Locke e L’Isola. Poi chi ha già avuto la possibilità di vedere la quinta stagione sa che sono presenti degli indizi in più. Vi istigo a delinquere lo so.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.175) 28 aprile 2009 23:09

    Filosofa femmina, stavolta ti sei superata!
    Interessante il libro e accattivante il tuo spunto finale! I miei complimenti da fan di Lost, ex profonda estimatrice di Jack e della sua razionalità, neoLockiana, in cerca della fede in Jacob che ci spieghi come fa Richard ad essere sempre così impeccabilmente truccato sull’isola che io dopo mezza giornata in ufficio ho il rimmel sbavato su tutte le occhiaie.
    Stupidera a parte, ottimo articolo.

    Pastulli

    • Di cafenoir (---.---.---.43) 28 aprile 2009 23:27

      Oh sommo Pastulli, esimio filosofo detentore del sapere dell’asintoto, grazie per il commento. In effetti Richard e il suo eyeliner/mascara sono un altro dei grandi segreti di Lost. Come fa a durare così a lungo cotanto make up? Io ero come te, una Jackiana fino a quando non ha cominciato a darmi fastidio il suo atteggiamento da primo della classe, più o meno tanto quanto ritrovarsi degli aghi di pino nelle mutande. Da quel momento ho seguito solo la potenza del credo isolano di Locke. Lui ne sa, ora ho le prove...
      Lo spunto ha un che di sensato eh? In effetti ne vado piuttosto fiera. Alla prossima teoria!

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