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Questo non è un paese per giovani, è un paese per giovani claque

Questo non è un paese per giovani, è un paese per giovani claque

Giovani, futuro e Italia. Era questo il tema di uno degli incontri pomeridiani del Festival del Giornalismo di Perugia. Le assenze caratterizzano questo panel, aspetti Filippo Rossil e trovi una poltrona vuota; cerchi Barbara Serra di Al Jazeera e vedi al suo posto Giovanna Zucconi.
 
L’ospite "centrale" è Pierluigi Celli, direttore generale della LUISS, noto alle cronache per la lettera al figlio, lettera che, nella migliore delle ipotesi, andava commentata con un “eduardesco pernacchio”. Invitare Celli a parlare di futuro dei giovani è come invitare Moggi a parlare di etica del calcio. La cosa peggiore non è dover ascoltare le assurde soluzioni proposte: “i giovani dovrebbero diventare imprenditori. Puntiamo sui prestiti delle banche” oppure “gli ultimi due anni di università dovrebbero essere dedicati alla pratica della professione”, come se il problema fosse la mancanza di professionalità dei giovani italiani e non la mancanza di lavoro. Bensì dover ascoltare una lezione di morale da chi è co-responsabile del malcostume italiano.
 
Il dibattito ha fatto emergere una pochezza di propositività e una visione dei giovani italiani fatta di stereotipi e generalizzazioni. Una visione così distaccata dalla realtà che sembra uscita dalle battute di un cabarettista degli anni 80. 
 
Per i presenti non è l’impossibilità di accedere al mondo del lavoro che disillude e opprime le future generazioni ma la loro mancanza di voglia di lottare. “I giovani dovrebbero prendersi i propri spazi!”, è stato lo slogan della serata. Come se i giovani ricercatori costretti ad emigrare non avessero lottato per entrare nelle migliori università del mondo. Come se i miei coetanei preferissero i -20 gradi dell’inverno bostoniano ai 20 di quello catanese. 
 
Come se i giovani emigranti fossero felici di vivere lontani dai propri affetti; come se per costruirsi una nuova vita a migliaia di kilometri dai luoghi in cui sono cresciuti non avessero dovuto lottare. No! Questa volta un pernacchio non basta. 
 
Se la mia generazione non ha lottato in Italia è perché non ci è stato dato spazio. E’ perché a 40 anni si è ancora considerati giovani. E’ perché ci sono i Celli che, artefici di questo sistema, fanno finta di non esserlo... 
 
L’Italia è un paese dal quale stiamo cacciando le nostre eccellenze per dare spazio ai giovani che, con la borsetta della LUISS, si avvicinano a fine conferenza e con aria reverenziale dicono: “complimenti, per il suo intervento; magari, ci vediamo all’Università ”. 
 
Tenetevi questi ragazzi che state crescendo. Tenetevi le vostre claque. Noi abbiamo altro da fare: tenere la schiena dritta.

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