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Pantani, quella mattina a Madonna di Campiglio

Sabato 5 giugno 1999. Madonna di Campiglio, Hotel Touring. Alle 7.25 Antonio Coccioni, commissario internazionale dell’Uci, la federciclo mondiale, accompagnato da Beppe Martinelli, il direttore sportivo della Mercatone Uno-Bianchi, bussa alla porta della camera occupata da Marco Pantani. Controllo antidoping a sorpresa. Sangue. Marco sta ancora dormendo. Così si sveglia, si alza, apre la porta, si veste, insieme con Coccioni e Martinelli va nella stanza del direttore sportivo e si sottopone ai prelievi. Poi torna nella sua camera. Tranquillo.
 

E’ la mattina della ventunesima e penultima tappa, la Madonna di Campiglio-Edolo, quella con il Tonale, il Gavia e il Mortirolo prima dell’arrivo sull’Aprica. La tappa regina. Quella decisiva, quella definitiva, quella di Pantani, quella che tutti aspettano.

Due ore dopo il controllo, Madonna di Campiglio è scossa dalle voci, è agitata dai segreti, rabbrividisce dalle ipotesi. Nell’Hotel Majestic si muovono, silenziosi e misteriosi, i medici dell’Ospedale Sant’Anna di Como, il presidente di giuria Bochaca e l’ispettore medico del Giro Wim Jeremiasse.

Sfilano Antonio Salutini e Carlo Guardascione, direttore sportivo e medico della Saeco-Cannondale: è stato controllato Paolo Savoldelli, e il risultato è ok. C’è Gigi Stanga, manager del Team Polti: è stato controllato anche Ivan Gotti, e il risultato è ok. C’è pure Martinelli: è stato controllato anche Marco Velo, e il risultato è ok. E ok sono anche i valori di Laurent Jalabert, Gilberto Simoni, Niklas Axelsson, Roberto Sgambelluri, Oscar Camenzind e Daniele De Paoli. Quello che non è ok, e che finirà ko, è proprio Pantani: il valore del suo ematocrito è 52 per cento. A quel 52, l’Uci toglie di ufficio l’1 per cento: rimane il 51, un punto oltre la soglia-limite. Marco Pantani è fuori gara. Ufficialmente non idoneo alla pratica del ciclismo, perché il suo sangue è troppo denso, e i casi sono due: o si è dopato o è malato.

Alle 9.40 Martinelli ha la condanna fra le mani. “Quando dirò a Marco qual è il suo tasso di ematocrito, succederà il finimondo”. Con un’auto anonima, senza i marchi della Mercatone Uno-Bianchi, Martinelli si dirige verso l’Hotel Touring. Entra, va da Pantani e gli comunica l’esito dell’esame. Dev’essere in quel momento che Pantani si adira, frantuma un vetro con un pugno e si ferisce alla mano destra.

Alle 10.12 arriva la conferma ufficiale con un comunicato: “La Direzione del Giro prende atto, con profondo rammarico, dei risultati delle analisi del sangue effettuati dalla commissione scientifica dell’Unione ciclistica internazionale che ha riscontrato la non idoneità di Marco Pantani all’attività ciclistica e quindi alla prosecuzione della corsa”. Alle 10.15 Enrico Zaina e Velo, a nome della squadra, annunciano che “senza Marco non andiamo da nessuna parte, noi siamo tutti con lui”. L’albergo viene travolto dalla folla: due squadre di carabinieri, totale otto, riportano l’ordine pubblico.

Poco prima dell’una Pantani esce dalla porta principale dell’Hotel Touring: “Sono amareggiato, mi dispiace soprattutto per i tifosi. Si potrebbero dire tante cose, ma sarebbero soltanto parole in più. Se succedono cose del genere a me, che sono uno sportivo che ha dato tanto al ciclismo, c’è da riflettere. Ero già stato controllato due volte, avevo già la maglia rosa e il mio ematocrito era del 46 per cento. Ora invece mi sveglio con questa sorpresa: c’è qualcosa di strano”.

Pantani se ne va alle 13.05. A Imola si sottopone a un esame del sangue in un laboratorio accreditato dall’Uci: nei due test il suo ematocrito risulta pari a 47,8 e 48,1 per cento. Alle 19.20 è a casa, a Cesenatico. Lì, in quel momento, comincia la sua discesa nell’inferno. Biglietto di sola andata.

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