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Rugby. La ballata del Michè

Mischia ai cinque. In attacco. Introduzione nostra. Mischia vinta, pallone tallonato, controllato, uscito. Ripartenza dal lato opposto all’introduzione. Il Miche blinda il pallone sotto il braccio, i primi cinque passi non lo ferma neanche il padreterno, e se poi lo placcano, lui va giù, per forza d’inerzia, oltre la linea. Meta. Sempre.

Sport vietato ai minori e ai minorenni, il rugby, negli anni Sessanta. Il Miche – Giancarlo Micheloni detto Miche – per essere grande, è grande, e per essere grosso, è grosso, e per essere duro, basta solo dargli un ovale per poterlo dimostrare. Quanto al minore e al minorenne, il Miche non dev’esserlo mai stato in vita sua, neanche quando era un bambino. Così nasce la leggenda del più forte rugbista italiano di sempre: la ballata del Miche.

È Roberto Gasperini, trequarti da un anno o giù di lì, a chiedergli di andare a giocare a rugby. Al Pirelli. Milano, quartiere Bicocca, viale Zara, campi da tennis rossi, per via della terra, e campo da rugby verde, per via dell’erba, una rarità, quasi una stranezza, forse semplicemente un miracolo. Sei o sette allenamenti, tanto per capire che per passare il pallone si può farlo solo indietro, che per fermare un avversario bisogna placcarlo basso, e all’altezza delle caviglie vengono giù anche le giraffe, che per segnare una meta è meglio darla a Buccino, Buccino Pietro, professione guardia giurata, l’unico dipendente della Pirelli nella squadra Pirelli, un altro di quelli grandi e grossi e duri, e con dei gomiti taglienti come scimitarre.

Sei o sette allenamenti, poi in campo, serie C, maglia blu, pilone, con il cartellino falso, perché per quello vero ci vogliono mesi. A Dalmine, capitale delle acciaierie, provincia di Bergamo, contro il Bergamo. E’ il Pirelli del maestro Filippo De Gasperi, maestro non per l’arte del rugby, ma per l’arte della pittura, metafisico, dicono, responsabile del prestigioso reparto artistico alla festa dell’uva a San Colombano, una specie di Carnevale di Viareggio però in settembre e in riva al Lambro, nonché allenatore e mediano di mischia, qui più che metafisico è metà fisico, e raramente meta. Così che, quando sono di buona, i giocatori lo chiamano: Maestro. E quando sono di cattiva: Filippo, ma va’ a cagare. Detto anche Capitan Uncino perché, al ritorno da una trasferta rugbistica in Portogallo, che del rugby, si sa, non è proprio la Terra Promessa ma di certe buone compagnie alcoliche sì, i compagni di squadra gli ficcano una bottiglia di brandy nella borsa per cautelarsi nel caso di ispezioni doganali, e lui, De Gasperi, metafisico e metà fisico ma in questo caso anche un bel pirla, si fa cadere la bottiglia a terra.

De Gasperi ha, per il Miche, un trattamento di favore. Si raccomanda: “Non preoccuparti”. Gli spiega: “Segui l’altro pilone”. E precisa: “Fa’ quello che fa lui”. L’altro pilone si chiama Ciro, per campare fa l’impastatore alla Motta, panettoni e pandori, dotato di mani eleganti come badili e morbide come piccozze. A Dalmine il Miche sa del passaggio e del placcaggio, ma non ancora del fuorigioco, così gli capita spesso di abitare al di là della linea del pallone, ma guarda caso quelli del Bergamo non spediscono una punizione fra i pali, invece l’unica volta in cui proprio De Gasperi si fa beccare in fuorigioco, quelli del Bergamo la infilano giusta giusta. Risultato: 3 a 0, per colpa di De Gasperi, e a casa.

La seconda partita va meglio, a Sondrio, 3 a 3, invasione di campo e botte della madonna. A Ciro l’impastatore non serve neanche regalare cazzotti, gli basta distribuire manate. Così l’effetto è ventotto giocatori che se le danno di santa ragione, Gasperini il trequarti che contempla, e il Miche che si chiede: “Ma è questo qui il rugby?”. Una domanda legittima, cui potrà rispondersi da solo, con gli anni.


Questo tesro è un estratto del libro Il XV del Presidente, di autori vari edito da A.CAR.

 

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