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Libano in crisi: il rischio di un avvitamento pericoloso

Libano. Il 4 agosto, mentre migliaia di persone partecipavano alla commemorazione a un anno dall'esplosione che ha devastato il porto facendo 200 morti, altre migliaia davano vita a violente manifestazioni che hanno attraversato Beirut. Uno degli striscioni inalberato dai dimostranti recitava “Iran out!” (Daniele Raineri, Il Foglio).

Il giorno stesso Hezbollah ha sparato una salva di razzi su Israele, secondo la prassi costante di alcuni paesi arabi di "esportare" verso (contro) lo stato ebraico le loro contraddizioni interne, nel tentativo di creare un diversivo forte capace di distrarre la popolazione dalle enormi difficoltà https://sicurezzainternazionale.lui... economiche casalinghe. Consolidare il fronte interno contro il tradizionale nemico esterno talvolta ha funzionato nella storia di un paese peraltro già martoriato da una guerra civile durata quindici anni.

Si era già visto un tentativo simile dopo le manifestazioni nel febbraio-marzo del 2011 con la partecipazione di migliaia di giovani libanesi scesi in piazza per protestare contro il sistema confessionale che paralizza la politica dello stato. Pochi mesi dopo, a maggio – in occasione della commemorazione della Naqba – migliaia di persone furono radunate nella cittadina libanese di Maroun al Ras, a ridosso della ‘linea blu’ di demarcazione con Israele, per poi tentare di sfondarla simbolicamente, nonostante i soldati libanesi avessero sparato in aria a più riprese per cercare di riprendere il controllo della situazione. Evidentemente Hezbollah aveva deciso diversamente. L’azione dimostrativa finì in tragedia quando Israele aprì il fuoco contro gli “invasori”.

Lo stesso avvenne sul Golan al confine israelo-siriano. E anche in questo caso non è difficile immaginare che al confine i manifestanti potevano avvicinarsi solo se il regime di Assad aveva deciso di volerlo. Anche qui infatti – solo un paio di mesi prima – una serie di proteste senza precedenti che chiedevano la fine del regime avevano scosso la stagnante politica interna siriana. E il governo aveva usato il pugno di ferro per reprimere le manifestazioni.

In entrambi i casi il tentativo, molto smaccato, fu quello di richiamare i contestatori all'ordine, cioè al patriottismo antiisraeliano. Il nemico è fuori, non dentro, sembravano ricordare i dirigenti politici dei due paesi.

Ma poi si sa come è finita. La Siria precipitò velocemente in una guerra civile in cui poi si inserirono molti altri attori internazionali per i propri interessi, l'Hezbollah libanese per primo in aiuto all'alleato baathista, mentre centinaia di migliaia di siriani perdevano la vita e milioni di altri diventarono profughi perdendo tutto.

In questi giorni, dopo la prevedibile reazione israeliana ai primi razzi, un’altra salva di decine di razzi è stata sparata e rivendicata da Hezbollah, nel palese tentativo di alzare sempre più la tensione con lo stato ebraico. Che è salita al punto che il comando dell’Unifil, la missione ONU di interposizione dispiegata nel sud del Libano fin dal 1978, l’ha definita “molto pericolosa”.

Si può prevedere che più forte si farà sentire la voce dei dimostranti a Beirut, più alta sarà la tensione al confine meridionale. Con il rischio che la situazione sfugga di mano precipitando in scontro aperto, anche se probabilmente né Hezbollah né il nuovo governo israeliano lo vogliono davvero.

Intanto in un villaggio druso un camioncino che trasportava una batteria per il lancio di missili è stato fermato dalla popolazione stanca di subire le ritorsioni israeliane per colpa del ‘partito di Dio’. Evidentemente la presa di Hezbollah sulla popolazione civile non è più salda come nel passato.

Il che può essere un’ottima notizia per la progressiva pacificazione dell’area o, nonostante tutto, il campanello d’allarme di un possibile, tragico, avvitamento del paese in una spirale di tipo “siriano”.

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