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La Notte di Shiva, fiumi di fumo a Pashupatinath

Inizia lo Shivaratri, la lunga notte dedicata al Gran Rigeneratore, il dio freakketone Shiva. Migliaia si sadhu, gli asceti erranti, salgono a Kathmandu per celebrarlo, migliaia di fedeli si bagnano nel sacro fiume Bagmati (una fogna a cielo aperto), quintali di hashish sono consumati per alleggerire le menti.

La Notte di Shiva, fiumi di fumo a Pashupatinath

In Nepal Shiva dovrebbe aver finito il suo compito di distruttore e rigeneratore, il paese è a pezzi e forse Brahma (il Creatore) lo sta sostituendo. La politica ha preso un percorso costruttivo. Ciò ha permesso a migliaia di pellegrini hinduisti saliti da ogni parte del sub-continente di giungere tranquillamente in Nepal, senza scioperi o blocchi per la grande festa. Mercati pieni e prezzi ormai alle stelle: musuro (lenticchie) + 25%, riso + 14 e così anche il piatto di base Daal Bhat diventa un lusso. Ormai i prezzi dei generi alimentari salgono mediamente del 2% al mese.
 
Sale anche il prezzo del fumo data la grande richiesta per la notte dello Shivaratri. Code di pellegrini s’alungano intorn alla Città Sacra di Pashupatinath, chi vuole saltare la coda deve pagare Rs. 1000 (euro 10). I Sasdhu se ne impippano con i loro chilum riempiti e fumanti. 

Solita grande festa, la più spettacolare e incasinata, è la Notte di Shiva (Shiva Ratri) celebrata nella luna scura di Falgun (normalmente fine febbraio-marzo) quest’anno il 23 febbraio.

Centinaia di migliaia di persone sono giunte a Pashupatinath da ogni parte del sub-continente indiano. Allungate in code infinite per due giorni, insieme a migliaia di Sadhu, gli asceti erranti della tradizione hinduista, sconvolti e quasi sempre incazzati.
 
Il grande tempio che ospita il sacro Linga (simbolo fallico che rappresenta Shiva) e i ghats che accompagno le ceneri dei defunti verso il Ganga e purificano i viventi dai peccati accumulati, erano pieni di lumini, e di gente. Il Linga è stato coperto, ininterrottamente, di latte, riso, fiori, polvere rossa e dall’energia dei fedeli.

 

Il Signore dell’Himalaya, dai capelli rastra, vestito da una pelle di tigre e armato di un tridente, danzò tutta la notte per la gioia di aver sposato la splendida Parvati. Altri dicono che in questa notte Shiva danzò il Tandava, la Danza della Distruzione.

In questi giorni compaiono sulla collina migliaia di suoi devoti, i Sadhu, conciati allo stesso modo, sono sparsi sulla collina. Tutti li vogliono fotografare, nudi, cosparsi di latte, di cenere (per rappresentare l’uscita dalla materia), con pietre sollevate con il pene o serpentoni intorno al collo. Certi chiedono qualche rupia per le foto, altri diventano matti se sono fotografati e riempono i fedeli di polvere dei defunti, l’inseguono con i forconi, li insultano. Girano tonnellate di ganja, litri di alcol e molti sono fuori di testa. Questa è la festa, da sempre.
 
I Sadhu raccontano: We are the soldiers of Shiva and like him we dissociate ourselves from worldly pleasures. The ash we spread on our bodies is our clothing. We take ganja and charas and remain in a trance just like our Lord Shiva, i capelli incrostati e attorcigliati rappresentano il caos che governa quest’epoca di Kali Yuga”
Sempre c’è stato gran movimento in questa festa ma, un tempo, al centro vi era più la fede che non la voglia di far casino. Gli anziani cantavano e danzavano fino a che i fuochi con cui si riscaldavano non s’esaurivano, a Pashupatinath come in tutti i templi di Shiva in Nepal, scambiandosi piatti di dal bhaat, frittelle, coppe di chang (alcol fatto in casa). Le famiglia andavano al tempio con le offerte, dopo grandi mangiate con gli amici; i bambini giravano per le case a raccogliere qualche soldo per le frittelle.
 
Oggi, i ragazzini nepalesi arrivano in gruppo, contando che, questa notte, tutto sia permesso: sconvolgersi di fumo e alcol, dare la caccia alle ragazze (che stanno alla larga dalla festa), rompere le palle ai Sadhu. Ogni tanto scoppia qualche rissone che vede coinvolti i santoni o i compagni delle ragazze (anche qualche occidentale). Mi diceva l’amica Nilima che “ci sono troppi sconvolti, non si può mai sapere cosa succede… ho paura ad andarci .” Tante famiglie se ne stanno casa o vanno a fare le devozioni alla mattina presto.
 
Nella notte, oltre qualche grida dei molestati, sale l’eterno mantra Om Namah Shivaya, in onore del Dio della Distruzione, incaricato di rigenerare il mondo, rivoluzionarlo e, perciò, amato dalle caste più umili. Quest’anno, poi, ci sarà il grande Kumba Mela di Allahabad, dove ogni 12 anni vi è la grande corsa allo Yamuna e al Gange, per lavare i peccati di tutte le vite. Obbligatorio è precederlo, per i shivaisti, con la visita a Pashupatinath.
 
Alla mattina, i più sconvolti, dormono fra i templi con qualche scimmia che gli salta intorno. Ogni anno si cerca di quantificare le quintalate di hashish che girano e che sono in continuo aumento. Il Nepal rimane il maggior produttore dell’Asia con la metà del quintale di fumo sequestratodalla polizia asiatica nel 2008.
Fin qui niente, ma aumenta anche l’uso di altre droghe, non tradizionali e più pericolose. Proprio in questi giorni, si racconta che nel Terai (intorno a Bara) sono riprese le coltivazioni di oppio, (come ai tempi dell’impero inglese). Il tutto si è visto in un documentario della Sagarmatha TV.
 
L’International Narcotic Control Board (INCB), in un recente rapporto, ha collocato il Nepal come fra i primi paesi asiatici per malati di HIV/AIDS dovuti a uso di eroina. L’assenza dello stato e i confini bucati per oltre 10 anni (di conflitto) hanno favorito il commercio e, forse, la raffinazione dell’oppio proveniente dall’India. Poco tempo fa, quasi due chili di anfetamine sono state sequestrate all’aeroporto. I nigeriani avevano superato gli australiani come numero di turisti, attendevano i business giocando a pallone a Lainchor, poi qualcuno è stato beccato con droga e monete false e il turismo d’affari è stato bloccato.
 
Sembrava che, dopo l’importazione dell’eroina negli anni ‘70, i Janki occidentali che s’aggiravano persi a Freak Street e gli imitatori nepalesi che sono morti fino alla fine degli anni ‘80, il triste fenomeno (passato di moda in occidente) fosse cessato.

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