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L’Aquila: la legislazione urbanistica dimenticata

Dopo la frana di Agrigento del 1966, il legislatore aveva messo a punto un sistema di norme adatto a fronteggiare i Signori del Cemento e della Speculazione che hanno causato il dissesto del suolo e vogliono, tuttora ed ovunque, gestirne un uso indiscriminato e predatorio.

Perché non utilizzare questa strumentazione urbanistica anche nella ricostruzione aquilana? 

Per comprendere il senso del “che fare” proponibile a L’Aquila per ri-costruirla, occorre partire da lontano, da quando si capì che gli effetti disastrosi non sono sempre “naturali”, ma dipendono anche dall’uso improprio del suolo, spesso “costruito” in modo alquanto insensato. Almeno, a decorrere dalla “frana” di Agrigento (nella foto) del 19 luglio 1966. Non tanto perché uno scoscendimento del terreno è equiparabile ad un movimento tellurico del suolo, ma perché in quel caso il Legislatore che condivise i risultati della Commissione ministeriale d’inchiesta presieduta da Martuscelli (vedi tutto qui) arrivò a porre dei ripari allo scempio urbanistico del territorio, cioè alla causa principale d’ogni disastro supposto “naturale”. Prima con la Legge Ponte (n°765/’67), indi con i D.M. sugli standard del 1968, poi con la Legge “Bucalossi” (n°10/’77) che immise la “Concessione” edilizia, al posto della “Licenza” edilizia, ed i Programmi Pluriennali di Attuazione per la realizzazione d’ogni strumento Urbanistico vigente. Erano tempi dove fatti legislativi importanti seguivano lo sdegno ed la condanna dei cittadini che percepivano i fatti clamorosi, come il suddetto, solo dai giornali e non alla TV dei festival condotti da Mike. Magari, non subito, ma alla fine del decennio di “incostituzionalità” urbanistica sancito dal pronunciamento della C.C. (sentenza n°55 del 1968) si arrivò a “riformare”, in modo accettabile e praticabile, la Legge Urbanistica fondamentale del 1942. Anche a livello regionale s’andò nella stessa direzione. Già nel 1977, nel Piemonte dell’assessore Astengo (un componente della predetta commissione d’inchiesta sui fatti “girgentini”, in qualità di membro dell’I.N.U.), venne varata la Legge Regionale per la “TUTELA e l’uso del suolo”.

Innanzitutto, tutela del suolo dalla “speculazione fondiaria”: la causa prima d’ogni male. Poi, un uso sostenibile del suolo attraverso un processo di pianificazione almeno pseudo-razionalista a rimedio di quella meramente “ottocentesca”, ancora imperante in Italia. E contenente queste innovazioni:

1° - Analisi rigorosa delle caratteristiche dei territori da pianificare per individuare: a) le porzioni da salvaguardare e quelle su cui permettere – eventualmente - la trasformazione anche edificatoria; b) le dinamiche di sviluppo o di stasi economica e demografica e quindi la definizione della capacità insediativa teorica dello Strumento Urbanistico in formazione, entro limiti compatibili, fissati a livello regionale ed in accordo con la programmazione economica almeno intercomunale.

2° - Modifica dell’iter di formazione degli strumenti urbanistici con disposizioni adatte a rendere possibile la “partecipazione” dei “cittadini”. In particolare:- dall’iniziale “delibera programmatica” da inviare alle varie associazioni culturali, imprenditoriali, sindacali, ecc.; - al Piano Preliminare con pubblicazione obbligatoria completa; - con il Piano definitivo da formare e da “adottare” solo dopo le “osservazioni” dei portatori del “pubblico interesse”. 

3° - Previsione d’una serie completa di strumenti urbanistici articolati, da quelli con finalità quasi esclusivamente programmatiche, come il Piano Regolatore Generale,ai vari Piani Esecutivi sia “pubblici”, come i P.P., il P.I.P., il P.E.E.P. ed il P.diRec., sia “privati” come il P.E.C. ed il P.diRec..

4° - Attuazione dello Strumento Urbanistico generale con Programmi Pluriennali di Attuazione.

Così, per ridare ai pubblici poteri la facoltà di decidere “se”, “come”, “quanto” e “quando” i terreni sono o possono essere edificati, viene a determinarsi la seguente articolazione funzionale:

- il Piano Regolatore (valido a tempo indeterminato) indica “se” i terreni possono essere utilizzati per l’edificazione (cioè non tutelati e/o vincolati per servizi e pubbliche attrezzature);

- i Piani Esecutivi (validi, solitamente, dieci anni) indicano “come” (con la destinazione d’uso) e “quanto” (con gli indici ed i parametri edilizi ed urbanistici) i terreni e gli edifici esistenti devono essere utilizzati per finalità residenziali, produttive, commerciali, direzionali, ecc.;

- i Programmi Pluriennali di Attuazione (per il triennio, massimo per un lustro) indicano “quando” la trasformazione delle aree (libere od edificate) s’auspica avvenga in concreto. Predisponendo in “bilancio” le entrate effettivamente introitabili e le uscite concretamente necessarie per realizzare le opere. Prescrivendo che nel periodo di riferimento (tre/cinque anni) si possono utilizzare solo (ed esclusivamente) le aree libere trasformabili con “intervento diretto” o tramite “Piani Esecutivi” che risultano incluse in una specifica planimetria allegata al “bilancio” suddetto. Sanzionando con l’esproprio le inadempienze: giacché le opere incluse nel Programma sono ritenute necessarie ed indispensabili per la “collettività” e quindi, se il privato non ha voluto ottemperare al compito delegatogli dai pubblici poteri, la comunità ha facoltà di provvedere in sua vece. Convenendo tra pubblico e privato ampie possibilità di collaborazione per il raggiungimento degli obiettivi sociali sottoscrivibili in “Convenzioni” (ad esempio, per la realizzazione dell’Edilizia Convenzionata). Concedendo ai privati la facoltà, propria della Pubblica Amministrazione, d’operare “ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale” che “partecipa agli oneri ad essa relativi”, con l’esecuzione delle opere “subordinata a concessione da parte del sindaco), proprio ai sensi dell’articolo 1 della Legge Bucalossi 28 Gennaio 1977, n. 10.

Dacché, si cercò di separare lo jus aedificandi dallo jus possidendi senza dirlo apertamente, qualcuno reputò che al proprietario/possessore del suolo restasse il potere d’utilizzarlo senza alcuna limitazione, come nell’antica Roma, a proprio piacimento: usque ad siderea, usque ad inferos, cioè esteso da tutto quello che sta sopra la terra a tutto quello che sta sotto. E ritenne operata una semplice “rivoluzione” lessicale anziché semantica. E considerò la“Licenza” edilizia (ch’era un “nulla osta” all’esplicarsi del diritto edificatorio del proprietario del suolo) solo rinominata “Concessione” per imporre al “privato” nuovi oneri e contributi, cioè altri bastoni tra le ruote frenanti l’esercizio del potere d’operare le trasformazioni edilizie ed urbanistiche del suolo posseduto. Invece, chi nella Legge Bucalossi colse la stretta interconnessione tra l’art. 1 (sulla Concessione) e l’articolo 13 (sui P.P.A.) ritenne che al “privato” veniva concesso solo l’esercizio d’un diritto proprio della Collettività. Come la riscossione della Tassa di circolazione che viene delegata all’A.C.I.; come l’esercizio dell’attività estrattiva; come la Rivendita dei tabacchi e delle marche da bollo che viene delegata ad un esercente qualsiasi, anche se non proprietario del fondo di Corso Garibaldi, sede dell’attività. Così, la concessione ad edificare dovrebbe essere data a chiunque abbia titolo ad esercitare l’attività costruttiva, indipendentemente dalla sua qualità di proprietario del suolo.

Però, dal 2001 (vedi T.U. in materia edilizia), il “permesso di edificare” sostituisce la “concessione” edilizia e la “dichiarazione di inizio attività” sostituisce la “autorizzazione”. Ma queste nuove parole ripristinano semplicemente la precedente sostanza, oppure per quanto possibile la peggiorano? In fede, è possibile sostenere che le facoltà liberiste (o liberticide) del legislatore sono state tali da comportare l’abrogazione totale della Legge Bucalossi? A scanso d’equivoci e per evitare altre eversioni al diritto assoluto di proprietà?

Se così fosse, questo provvedimento (D.P.R. 380/2001) ci riporterebbe ancora alla situazione di incostituzionalità precedente al varo della Legge Bucalossi e, pertanto, non sarebbe stato emanato in forma di Decreto del Presidente della Repubblica, cioè a firma del difensore supremo della Carta Costituzionale. Dunque, in buona sostanza, non tutto è andato a ramengo, ma solo in soffitta. Poiché, una caratteristica essenziale della “concessione” pare rimasta sostanzialmente immutata nei “permessi di costruire” che, sebbene solo in taluni casi, permangono onerosi. Apparentemente, nessun comma od articolo del “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” vieta espressamente la formazione e l’approvazione dei “Programmi Pluriennali di Attuazione”. Se l’impedimento fosse scaturito per facoltà regionale o comunale, allora sarebbe utile sapere quando e perché non s’assaltò la“Bastiglia” abruzzese retta da Chiodi, oppure non s’è demolita quella “turca” di Del Turco, anche per l’assenso dato a tale scempio urbanistico/legislativo.

All’opposto, se il P.P.A. non è stato ghigliottinato ma soltanto dimenticato, allora bisognerebbe ripristinarlo e riutilizzarlo. A L’Aquila, servirebbe per risolvere sia il problema delle “aree bianche”, sia quelli connessi alla Ricostruzione. Vediamo perché, in che misura e con quale efficacia.

 

ha collaborato Adriano Di Barba [segue]

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