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Grillo e i ribelli a Cinque Stelle

Dopo aver imposto una totale e indiscutibile assenza da qualsiasi programma televisivo (in origine erano vietati i talk show, ma poi il diktat si è allargato)

E dopo aver stabilito che nessuno doveva provarsi a elaborare una qualsiasi strategia e dopo aver dichiarate merde quelli che si provavano a parlare con i giornalisti di ‘cose loro’, il M5S oggi sembra una patetica nave dei folli persa nelle nebbie di una terra sconosciuta. Senza timone, senza rotta e con un Capitano in evidente stato confusionale (si legga la sua demenziale ripicca isterica contro un Rodotà che lo invitava pacatamente a riflettere sulla sconfitta elettorale).

Alcune proposte, vista la mala parata della situazione economica di molti italiani, come l’idea del tanto decantato (e sacrosanto) reddito di cittadinanza, avevano suscitato qualche speranza in un futuro meno pesante per migliaia di famiglie. E infatti le elezioni politiche, semplificando un po', sono andate così: proponi il reddito minimo per chi non ce la fa? Ottimo, ti voto.

Poi le amministrative, tre mesi dopo, sono andate più o meno così: sei solo un vanesio che si mette a fare giochetti tirando la corda tanto per permettere alla narcisista Lombardi - la più antipatica dell'universo mondo dopo la Gelmini - di tirarsela alla grande nell’incontro-scontro con Bersani? Ok, non ti voto più. Perché non so che farmene di te.

Brutale nella sua sintetica durezza, ma, si sa, la politica - soprattutto nei periodi di crisi tosta - è roba per gente con il pelo sullo stomaco; spietata. Da qui la drammatica débacle del M5S alle ultime amministrative (solo a Roma persi in tre mesi 2/3 dei voti presi alle politiche).

E ora la palla, che piaccia o non piaccia ai talebani delle Cinquestelle - a cui da tempo si è aggiunta la sesta stella dell'insipienza politica - passa nelle mani dei ‘cittadini’ capaci ancora di pensare (da soli). Come quell’Adriano Zaccagnini, senatore M5S, che oggi ha partecipato ad un notevole incontro al Piccolo Eliseo di Roma (guest star la coppia Settis-Barca in fase di autocompiacimento un po' eccessivo).

Lui c'è andato per dialogare - sì, avete letto bene: “dialogare”, il massimo della ribellione ai diktat di Grillo - con esponenti della cultura di sinistra, convocati in assise di riflessione dal periodico left, la rivista culturale allegata settimanalmente all’Unità, di area notoriamente vicina allo psichiatra Massimo Fagioli.

Adriano Zaccagnini è uno che recentemente ha detto cose comprensibili e perfino condivisibili: “Ci hanno chiesto di cambiare le cose, volevano da noi un governo di cambiamento. Ci abbiamo provato e non ci siamo riusciti. Magari non hanno capito quanto abbiamo tentato, ma non possiamo ignorare che a loro arriva questo: l'incapacità di essere propositivi, di andare al di là della distruzione".

Sembra strano, nel profluvio di acidità liquidatorie provenienti dall'area vicina a Beppe Grillo, poter finalmente leggere qualcosa che profuma di semplice ed equilibrata analisi politica: non siamo riusciti a proporre altro che la distruzione.

Non la distruzione materiale, sia chiaro, dato che il M5S non ha mai proposto di fare le barricate, ma la distruzione dell’esistente in politica e nella società.

Rileggiamo una vecchia intervista di Beppe Severgnini all’ex comico genovese: “In campagna elettorale ho sentito cose vecchie (...) io invece ho l'ottimismo della catastrofe. Si va giu', e si ricomincia".

L’ottimismo della catastrofe (non “nella” catastrofe che indicherebbe un’apprezzabilissima capacità di reagire alle difficoltà) rappresenta il manifesto culturale del grillismo che, probabilmente, non tutti gli aderenti del Movimento Cinque Stelle, come Zaccagnini, hanno finora capito e saputo interpretare (e figuriamoci poi gli otto milioni di elettori): il progetto di Grillo, conseguenza della sua dichiarata mentalità, è determinare una catastrofe perché in essa individua la fonte prima, indispensabile, di una possibile ricostruzione. Azzerare, radere al suolo: distruggere. E’ il verbo usato dallo stesso Zaccagnini.

Ebbene, questo manifesto “culturale” del grillismo è esattamente il problema, anche se si maschera da soluzione del problema. Perché individua e afferma, come unica soluzione possibile, la distruzione dell’esistente, ponendosi in aperta contrapposizione con qualsiasi possibilità di "essere propositivi" nella trasformazione dell’esistente stesso.

Distruggere anziché trasformare: l’una cosa rende impossibile l’altra anche se è chiaro il latente inganno che dice “per trasformare è necessario distruggere”. Non è vero: trasformare significa mettere in discussione l’esistente e proporne la modifica, operando (politicamente) per perseguirla. Esattamente quello che i 'cittadini' eletti non hanno saputo fare.

Distruggere significa invece, prima di tutto, contare i morti; di solito i più deboli della società. Fra cui anche l’essenza della democrazia, che è cosa molto più fragile di quello che si pensi, come dimostra lo strano modo di concepire la democrazia interna del Movimento stesso con ordini, divieti ed espulsioni. E' la strada maestra di ogni fascismo.

L’ottimismo della catastrofe è il peccato originale del movimento di Grillo. Se, come Zaccagnini sembra aver intuìto, anche altri parlamentari del M5S faranno i conti con questa “cultura” (sic) della distruzione, probabilmente capiranno la necessità che agire per trasformare può dare frutti importanti per loro e per la società sclerotizzata in cui viviamo. E ottenere il rispetto degli elettori, che non è l’entusiasmo euforico del ‘mandiamoli tutti a casa’, ma il radicarsi di una novità progettuale significativa, credibile e affidabile.

“Al contrario di quel che dice Vito Crimi - continua Zaccagnini - noi parlamentari a 5 stelle dobbiamo parlare di strategie politiche".

Che hanno bisogno di un “paradigma forte” ha aggiunto Ernesto Longobardi nello stesso incontro romano, e “un paradigma forte è sull’identità umana”; portare al centro i diritti è - prima di tutto - un discorso sull’identità umana. Perché l’attualità socio-economica che pone le necessità contabili di mercato sopra e prima delle esigenze umane significa “crisi antropologica”. Crisi del modo in cui l’essere umano interpreta se stesso e il suo stare al mondo.

Il lavoro da fare quindi è ampio, profondo, complesso, impegnativo e magari deve essere anche intelligente; non bastano certo gli schiamazzi dell'aruffapopolo affascinato dalla delirante onnipotenza di un redivivo Gengis Khan (che avrà pure creato il più grande impero della storia, ma, cerchiamo di non dimenticarcelo, al prezzo di milioni di morti).

 

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