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La laurea non serve. A volte, neppure il merito

Di Marina Serafini (---.---.---.228) 19 dicembre 2016 14:36
Marina Serafini

Attenzione, io non auspico l’abolizione del valore di titoli ai quali corrisponde una sostanza, mi ha fraintesa. Io accuso un sistema che oggi rende vuota quella sostanza e la certifica come se fosse piena e reale. Perchè oggi, mi spiace dirlo, ma il panorama italiano, tranne poche eccezioni, questo offre. E non è un bello spettacolo. Non si tratta di "non dare soddisfazione agli imbroglioni", se mi consente la semplificazione, ma di non volere più che si chiami formazione ciò che di formazione ha solo l’etichetta. Perchè vede, sig. Di Roberto, con l’ostentazione di titoli, si vincono concorsi, si assumono ruoli decisionali, si va ad occupare poltrone dalle quali, per incompetenza, si possono commettere errori fatali e misfatti inconcepibili.

Lei tira in ballo l’etica professionale, e il fatto che l’incompetente di turno viene smascherato dal suo stesso operato. Ha ragione, ma nella nostra attuale società lo smascheramento degli incompetenti raramente comporta la loro estromissione dai ranghi. Ne abbiamo continue testimonianze. Io, purtroppo, ne ricevo molte anche nel mondo dell’attività privata dove - a maggior ragione - dovrebbe valere il suo discorso.
Purtroppo viviamo una decadenza culturale (sulle cui origini potremmo ampiamente discutere) che porta all’accettazione della mediocrità, che viene travestita da eccellenza. E’ l’unico modo per farla passare, d’altronde - intanto che si lavora alla omologazione generale (verso il basso). E io, questa omologazione appiattente non la sopporto. Quindi legga bene tra le righe di questo mio sfogo: io difendo la Cultura, quella con la c maiuscola, quella che nasce dallo sviluppo del potenziale umano e che porta nella direzione del fare, e del fare bene. Ed è vero che la selezione del personale tiene conto della laurea prevalentemente come punto di partenza, ma questo significa che la laurea, in molti casi, è proprio la condizione di possibilità per accedere al colloquio, e quindi per concorrere alla posizioni aperte. Spesso, mi spiace dirlo ma lo so per esperienza, si tratta proprio dell’unica condizione di accesso a certe posizioni. Quindi non parli di etica professionale nè di meritocrazia, perchè sono espressioni che poco hanno a che fare con questa nostra società, troppo assorbita dalle modalità commerciali di pessima ma finissima categoria (perchè, dal loro punto di vista, funzionano) e maledettamente forgiate a risposta di una classe dirigente violenta, balorda e assolutamente priva di scrupoli. 





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