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Commento di Persio Flacco

su Uccisi i presunti responsabili dell'assassinio dei tre ragazzi israeliani


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Persio Flacco 23 settembre 2014 18:04

Il 3 giugno si insedia il nuovo governo di unità nazionale palestinese, frutto dello storico accordo di riconciliazione tra Fatah e Hamas.
Un accordo che oggettivamente migliora le prospettive di pace assicurando ad Israele un interlocutore palestinese unico e dunque degli impegni unitari. Ma non solo: accettando la riconciliazione con l’affidabile Abu Mazen, Hamas mostra segni di ragionevolezza che fanno sperare in posizioni meno oltranziste da parte sua e indica in modo chiaro che intende abbandonare la linea dura e intransigente verso Israele.

Ottimo, no? Non per il governo israeliano, che entra in fibrillazione e si produce in minacce e azioni ostili, lanciando una vivace azione diplomatica tesa ad affermare un semplice concetto: "Chi vuole la pace con Hamas non è interessato alla pace con Israele. [Netanyahu]".

Il 12 giugno tre ragazzi israeliani vengono rapiti. Netanyahu punta immediatamente il dito contro Hamas e scatena una brutale caccia all’uomo nella West Bank, con specifico "riguardo" per gli aderenti ad Hamas. Tanto brutale che, infine, qualcuno da Gaza lancia qualche razzo. E questo scatena l’ennesimo massacro.

La stranezza del comportamento di Hamas balza agli occhi (non a tutti gli occhi: chi ne tiene uno aperto e l’altro chiuso non la rileva): prima affronta un difficile percorso di riconciliazione con Fatah e poi offre a Netanyahu l’occasione che cercava per "dimostrare" che con Fatah e Hamas insieme non si può trattare, che la riconciliazione è inaccettabile.

Per fissare bene questo risultato Netanyahu ordina la consueta mattanza di gazani, interrotta solo dopo il "ritardo" nella consegna di munizioni per iron dome da parte degli americani. Dopo la strage gli avversari interni verso la riconciliazione sono forniti di argomenti più convincenti.

La stranezza è probabilmente dovuta all’esistenza di una componente oltranzista minoritaria dentro Hamas che si oppone a qualsiasi soluzione negoziata del conflitto. In questo caso tale componente ha dimostrato di essere di fatto alleata di Netanyahu e dell’ultradestra che governa Israele.
Oppure è dovuta all’azione di militanti di Hamas a libro paga degli israeliani. Chissà.

In ogni caso è confermato ciò che da tempo è evidente a chiunque abbia entrambi gli occhi aperti: questa dirigenza israeliana non intende affrontare una trattativa seria per risolvere il conflitto.
Ha il potere per imporre questa scelta sul campo; ha avuto il potere di opporsi alla forte pressione esercitata dalla presidenza Obama: grazie alla lobby sionista di Washington, pur conservando il cospicuo supporto finanziario, militare, economico in generale, che riceve dagli USA: grazie all’ascendente che la stessa lobby esercita sul Congresso. 

Sotto il gran polverone di chiacchiere la realtà è questa. Ma di questa realtà nel suo articolo non c’è traccia apprezzabile.


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