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Commento di Fabio Della Pergola

su La "piaga" del sionismo nell'interpretazione del M5S


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Fabio Della Pergola Fabio Della Pergola 16 agosto 2013 10:06

Non ho esattamente detto che lei è antiisraeliano, ma che il suo metodo interpretativo è "coerente con lo standard antiisraeliano", vale a dire che interpreta la successione dei fatti con un’ottica che non tiene in gran conto il punto di vista diverso da quello che vede il solo Israele agire contro la pacificazione, mentre del fronte palestinese dice solo che "abbia stupidamente perso delle occasioni". Che più brutalmente significa che ha affossato le varie possibilità di stabilire un accordo di pace almeno pari (lo dico per smetterla con la polemica) a quelle perse (o non volute) dagli israeliani.

Il confronto di cui parliamo è un confronto fra nazionalismi, non esiste una credibile opzione internazionalista e nemmeno binazionale sul tappeto almeno dagli anni ’20. Il nazionalismo ebraico (sionismo) si articola in varie componenti fra cui quella che Yehoshua fa propria, come ho ricordato nel commento precedente. E’ un nazionalismo di sinistra che non condivide le politiche dei governi di destra, ma che tiene viva l’antica opzione dei governi laburisti: "terra in cambio di pace". Che non è mai stata accolta dai politici arabo-palestinesi con conseguenze fatali: niente accordo ? Ti costruisco una colonia. Lo fai adesso l’accordo ? No, allora te ne faccio un’altra. Questa è stata la politica di sinistra, fino a che la destra non è andata al governo inasprendo le cose (e uccidendo Rabin che praticava quanto detto sopra alla ricerca di un accordo).

La destra israeliana ha sempre ricevuto invece un fondamentale supporto dal fronte arabo. Dopo trent’anni di governi laburisti andò al governo nel ’73 dopo la guerra del Kippur che Israele ha rischiato di perdere per un sostanziale "lassismo" del governo laburista in merito alla questione sicurezza. Il ritiro unilaterale da Gaza voluto da Sharon ha fatto diventare la striscia un arsenale di razzi anziché un primo nucleo di stato libero di Palestina capace di dimostrare agli israeliani che potevano fidarsi di avere dei vicini di casa non belligeranti e che potevano perciò allentare il controllo sulla WB da cui ogni città israeliana può essere facilmente colpita (lo dice ancora Yehoshua in un’intervista che spiega molto bene il punto di vista israeliano http://ricerca.repubblica.it/repubb...). L’attuale destra è andata al governo, soppiantando il governo centrista di Olmert, dopo la guerra del Libano del 2006 che, come lei cita correttamente, iniziò con un’aggressione di Hezbollah sul confine.

Tradotto in termini politici tutto questo significa che, come ogni democrazia parlamentare (e a differenza dei paesi arabi), la politica israeliana può essere eterodiretta in prossimità delle elezioni; basta un razzo, un attentato, un’aggressione sul confine, una minaccia più esagitata e la destra raccoglierà più voti. Perché sul tema sicurezza la destra ha argomenti che "appaiono" (non ho detto che "sono") più convincenti degli argomenti "dialoganti" della sinistra. Di tutto questo lei non dice niente se non che l’attività israeliana di contrapporre Hamas a Fatah (il che implica che i politicanti palestinesi non avrebbero alcuna capacità di opporsi alle trame avversarie) ha impedito la pacificazione. Pacificazione che, in caso Israele non avesse favorito la divisione in campo avversario, sarebbe stata facilitata... ma solo nella sua logica interpretativa; in realtà non è per nulla né dimostrata né dimostrabile.

Lei può legittimamente considerare il sionismo una ideologia deleteria, al pari dell’ingenuo Bernini, ma continuerò a pensare che lei confonde il nazionalismo italiano (e più ampiamente delle democrazie europee) che giustamente deve essere assolutamente altra cosa rispetto a quello risorgimentale, con quello di un paese ininterrottamente in guerra fin dalla sua creazione, con una realtà storica passata su cui pesa lo sterminio nazista che non può non aver plasmato la mentalità di un intero popolo di fronte ai pericoli esterni e alle minacce di distruzione che riceve da quasi ogni leader arabo; e così via. Se tenesse conto di tutto questo, cosa che lei non sembra fare, si renderebbe conto che non è Israele a dover fare la prima mossa. Quando lei scrive "Se è interesse di Israele concludere il conflitto, e sono convinto che lo sia, ai deficit della dirigenza palestinese palestinese deve provvedere qualcun altro: la stessa controparte, che dovrebbe rendersi conto di non poter giocare con tutta la sua forza contro un avversario che non si regge in piedi", dimentica (ma è una vera dimenticanza ?) che dietro i palestinesi c’è l’intero mondo arabo, nelle sue varie sfaccettature più o meno aggressive, ma sempre ostili; di più, c’è l’intero mondo islamico con potenze regionali di media potenza come la Turchia e l’Iran, anche loro sempre più aggressive. Eccetera. E’ questo il mondo che deve fare la prima mossa. Assicurare nei fatti, non a parole, che una distruzione possibile non sarà agìta e che loro per primi depongono le armi. Rassicurare gli israeliani che la pace è possibile e lo sterminio evitato è la prima mossa per permettere - non di trovare immediatamente un accordo di pace, sarebbe ingenuo crederlo - ma di ridare uno spazio politico alla sinistra "dialogante", di farle recuperare terreno e credibilità togliendo argomenti ad una destra che fonda l’idea di sicurezza solo sulla forza militare. In caso contrario sarà sempre più dura. E a pagare per primi saranno sempre i palestinesi.

In altri termini, visto che il paragone con l’apartheid sudafricano viene spesso citato, ricordiamoci che in Sudafrica la mossa giusta fu l’abbandono della lotta armata da parte dell’African National Congress di Mandela. I tanti neri, militarmente inconsistenti, convinsero i pochi bianchi, fortemente armati, che non ci sarebbe stato un bagno di sangue se si fosse cambiato lo status quo. Credo che questa sia l’unica strada percorribile (e un paragone con il vecchio Sudafrica sensato); ma che i palestinesi siano molto lontani dall’averlo capito, o, se l’hanno capito, di averlo accettato. Anche per l’esaltazione nazional-religiosa che tanti altri stati e politici continuano a diffondere. La questione palestinese è sempre stata usata nella più completa indifferenza verso i palestinesi non solo da parte degli avversari storici, ma anche dei tanti che si dichiarano fraternamente solidali e amici.
La saluto.


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