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Commento di Renzo Riva

su Il limbo dei conviventi: senza diritti se non sposati


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Renzo Riva Renzo Riva 15 luglio 2012 01:16

Riporto quanto fu pubblicato da  "l’Avanti" nell’Agosto 2003


Posso dire che sia pari a un "sempreverde" visto la validità delle argomentazioni
tutt’ora attualissimo e supportato da una lucida analisi e conseguenti conclusioni.

LA DIFFERENZA TRA I DIRITTI DELL’INDIVIDUO
E QUELLI CHE SPETTANO A UNA COPPIA

La questione cosiddetta dei matrimoni gay non interessa, evidentemente, i soli gay, ma pone dei gravi problemi politici, giuridici e sociali, che riguardano l’intera società. In Italia si è formato un fronte politico e culturale, che in parte è laico (per esempio i radicali) e in gran parte è della vecchia e nuova sinistra comunista.
I Ds, firmatari Franco Grillini (presidente Arcigay), Luciano Violante (presidente del gruppo parlamentare) e Barbara Pollastrini hanno presentato la proposta del Pacs (patto civile e sociale), un disegno di legge che rappresenta la posizione ufficiale del partito.
Il fatto è in sé indicativo e importante. Le coppie omosessuali rivendicano il “diritto” di contrarre matrimonio, così come le coppie eterosessuali, legittimate o di fatto che siano; e conseguentemente di godere dei diritti delle coppie legittimamente coniugate, in materia di successione, eredità, testamento, alimenti, adozioni, assistenza, locazione e così via. Questo assunto è stato fortemente rafforzato, negli ultimi tempi, dalla legislazione di molti Paesi, del Nord Europa e del Nord America (dall’Olanda al Belgio al Canada alla stessa Francia, sia pure con rilevanti differenze tra loro) che hanno accolto le pretese del mondo gay; e ciò non può non incidere sulla Comunità Europea.
E qui c’è da discutere, innanzitutto, se l’essere gay, cioè manifestare una certa preferenza sessuale, sia un “diritto” e comporti dei diritti e doveri; o se sia semplicemente un comportamento, un modo di vita, un costume, che non può avere rilevanza giuridica nei confronti della generalità dei cittadini.
In Italia ognuno è libero di “far l’amore come gli va” (secondo la canzone di Lucio Dalla): davanti, di dietro, a destra, a sinistra e al centro. Un problema di diritto si apre quando si pongono i rapporti con altri e con la pubblica amministrazione. I gay hanno gli stessi diritti degli altri cittadini. Ma, per esempio, né i cittadini etero, né gli omo, hanno il diritto di sposarsi con quattro mogli, diritto che invece è pacifico e inossidabile per i cittadini di molti Paesi arabi, asiatici e africani. Eppure la poligamia di fatto esiste ed esistono i conseguenti problemi; ma nessuno pensa di risolverli con un matrimonio poligamico, almeno in Italia e negli altri Paesi occidentali. E’ interessante porsi il problema, di come lo Stato dovrebbe rispondere ai tanti islamici che abitano nel nostro Paese, e che vorrebbero legittimare il proprio matrimonio con due, tre o quattro cittadine; è anzi sicuro che sarebbero le donne le prime a chiedere tale legittimazione. E nel caso di islamici-gay, perché non ammettere non solo il matrimonio omosex, ma anche poligamico e infrasex.
Il Pacs aggira l’ostacolo, abbandonando la questione formale del matrimonio.
I gay dicono: “Lasciamo perdere la vostra sacralità. Veniamo al sodo. A noi interessano gli aspetti giuridici e quelli materiali. Alla coppia di fatto che regolarmente si registra in Municipio, devono essere riconosciuti gli stessi diritti contrattuali della coppia etero-matrimoniale”.
I gay di fede grilliniana da tempo hanno deciso di mimetizzarsi dietro le “coppie di fatto”, cioè i molti etero che senza sposarsi (operazione sempre più difficile, costosa e sempre più spesso respinta dai giovani d’oggi) convivono insieme, pacificamente o no, e che vorrebbero ottenere anch’essi gli stessi diritti, senza pagar dazio.
E qui casca l’asino soprattutto perché l’istituto del matrimonio è mirato alla continuazione della specie ed è un’invenzione appositamente dedicata alla creazione e alla difesa, la regolarizzazione e legittimazione, della famiglia; e che la famiglia è l’insieme di maschio, femmina e loro figli.
Si legge spesso che i gay ritengono che la loro unione in coppia costituisca “una famiglia”; e che proprio in base a questo, abbiano il “diritto” all’adozione di figli. Ma non è così. Anche nei secoli di maggior auge della pederastia; quando era diffusa e normalmente accetta nelle classi del potere; anche quando era praticata insieme alla pedofilia e questa era di moda e quasi un obbligo sociale nelle classi più alte; e quando tutto questo dava luogo a celebri amori maschili, femminili, omosex, bisex, saffici, impuberi e produceva altissime poesie e romanzi; tutto questo però non ha mai preteso d’essere “una famiglia”.
Un insieme di omosessuali e figli adottivi, può essere un gruppo sociale, un collettivo, o anche una scuola, un’accademia, un liceo, ma non è una famiglia. I suoi componenti hanno individualmente i diritti degli altri cittadini; o se mettono insieme un’attività economica possono avere dei diritti societari; ma non hanno il diritto coniugale o il diritto del pater familias , o il “ubi tu Gaius ibi ego Gaia”.
Perciò non esistono due specie di diritti: uno per il cittadino etero e uno per il cittadino gay, ma esiste solo il diritto del cittadino.
Se questo cittadino ha un amico o un’amica o un pargolo che ama, può testare, assicurare, ospitare, ereditare, donare, ricevere, come gli pare secondo legge e fatti salvi i diritti dei terzi.
Ma si tratta sempre di diritti individuali, non di diritti di coppia e meno che mai di diritti particolari legati alle specificità (sessuale, religiosa, censo ecc.).
(libera riduzione di un articolo "A proposito dei matrimoni gay" da "l’Avanti" del 8/08/2003)


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