• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile


Commento di Renzo Riva

su Oms: "Emissioni diesel fonte certa di tumori", il Codacons chiede di fermare le auto


Vedi tutti i commenti di questo articolo

Renzo Riva Renzo Riva 12 luglio 2012 00:19
A proposito della cancerogenesi di alcune sostanze.

Dal libro
Il principio di precauzione
I COSTI DELLA NON-SCIENZA

Associazione Galileo 2001,
Il Principio di Precauzione: i costi della non-scienza
© 2004 21mo SECOLO s.a.s. di Roberto Irsuti e C.
Via Piacenza 24, 20135 Milano
Tel. 02-5456061, Fax 02-54100453
Tutti i diritti riservati
ISBN: 88-87731-23-

che potete leggere e scaricare gratuitamente al seguente collegamento:
http://www.galileo2001.it/old/materiali/pubblicazioni/costi_non_scienza.pdf

da pagina 59

g) Curiosamente, il PdP non viene invocato per bandire dal mercato
i prodotti biologici. Anzi, viene invocato per vieppiù diffonderli.
Eppure, essi sono i peggiori in commercio, dal punto di vista della sicurezza
alimentare. Vediamo perché. Bruce Ames, tossicologo di fama
mondiale, direttore del centro di salute ambientale a Berkeley e membro
dell’Accademia nazionale americana delle scienze, è stato l’inventore
di un test – che da lui prende il nome – per individuare la presenza
di sostanze mutagene. Ebbene, il test di Ames ha provato che il
50% delle sostanze di sintesi è cancerogeno, nel senso che su circa 500
sostanze sintetiche esaminate e somministrate a cavie con la massima
dose tollerabile, circa la metà è risultata positiva al test. Sennonché, lo
stesso test, eseguito con sostanze naturalmente presenti nei prodotti
18 U. Spezia (a cura di), loc. cit. (1998).
50 I costi della non-scienza
alimentari che comunemente ingeriamo, ha rivelato che anche tra queste
sostanze il 50% è cancerogeno. In ordine alfabetico, dall’aglio e
dall’albicocca, passando per la lattuga e il mais, sino alla soia e all’uva,
sono centinaia i prodotti che contengono altrettanti cancerogeni naturali.
Quindi, “naturale” non è meglio di “sintetico”. Ma qual è la percentuale
relativa di cancerogeni naturali e di cancerogeni di sintesi che
tutti noi abitualmente ingeriamo? La risposta ce la conferma lo stesso
Ames: il 99,99% delle sostanze potenzialmente tossiche che ingeriamo
è già naturalmente presente nel cibo, e solo lo 0,01% è di provenienza
sintetica. Ho precisato “potenzialmente” perché la tossicità di una sostanza
è stata determinata somministrandola a cavie in dosi vicine a
quella massima tollerabile (oltre la quale le povere bestie morirebbero
avvelenate). In pratica, di quelle sostanze ne ingeriamo dosi migliaia o
anche milioni di volte inferiori di quelle che sono risultate dannose ai
topi. E quelle naturali sono centomila volte più abbondanti di quelle
che rimangono nei cibi trattati con i fitofarmaci di sintesi.
Ma le piante non possono fare a meno di fitofarmaci 19. Se non
glieli somministra l’uomo in quantità controllate, la pianta se lo produce
da sé il proprio fitofarmaco naturale e, a questo scopo, non usa
certo riguardi verso chi poi se la mangerà 20. È il caso di una varietà di
sedano biologico che induceva eczemi alla pelle dei coltivatori e dei
commercianti che lo maneggiavano in gran quantità: il sedano, per difendersi
da insetti parassiti, aveva decuplicato la produzione di psolareni,
molecole con azione irritante; e anche cancerogena, visto che si
legano irreversibilmente al Dna, favorendo le mutazioni. Ed è il caso
di una patata biologica, rapidamente tolta dal mercato: per analoghe
ragioni, aveva più che decuplicato la produzione di solanina, risultando,
anche se cotta, tossica ai bambini delle scuole le cui mense erano
rifornite con cibo biologico 21. Ed è il caso dell’abnorme aumento di
aflatossine – pericolosi cancerogeni – riscontrato in varietà agricole
non trattate con fungicidi.
La tecnica di produzione biologica prevede anche che si usino rimedi
omeopatici in caso di malattie. Chiunque sappia cos’è il numero
di Avogadro, sa anche che i prodotti omeopatici non possono avere alcun
effetto (diverso, eventualmente, da quello placebo) 22. La ragione è
molto semplice.
La natura molecolare della materia vieta la possibilità di preparare
soluzioni aventi concentrazioni arbitrariamente piccole di soluti: mediante
il procedimento delle diluizioni successive con le quali si preparano
i prodotti omeopatici, già in una soluzione acquosa omeopatica
classificata rispetto alla diluizione come CH12 non vi è neanche
una molecola di soluto, e ogni procedura di diluizione successiva è
priva d’ogni senso scientifico, essendo essa equivalente a diluire acqua
con acqua. Sennonché, le tipiche soluzioni omeopatiche hanno diluizioni
classificate come CH60, CH100 o anche CH200: senza timore di
essere smentiti esse non sono altro che, appunto, acqua pura (a parte
eventuali eccipienti). Allora – ci sarebbe da chiedersi – che garanzie si
hanno sulla fettina biologica ottenuta da un manzo che, eventualmente
ammalatosi, sia stato curato con i prodotti omeopatici, come la pratica
biologica prescrive?
In conclusione: le tracce di fitofarmaci normalmente presenti nei
prodotti tradizionali non aggiungono nulla alle sostanze potenzialmente
tossiche e naturalmente presenti in quei prodotti. Le varietà
biologiche, invece, rischiano di contenere quantità abnormi di tossine
naturali, sia perché la pianta se le produce da sé, sia perché eventuali
malattie non sono trattate con metodi scientificamente codificati. Qui
si vede tutta l’ambiguità del PdP, che viene invocato non per bandire i
prodotti biologici, ma, addirittura per promuoverli.

Vedi la discussione






Palmares