Con grande soddisfazione di quei gonzi che credono ancora nella favola degli statali fannulloni, il ministro Renato Brunetta promuove licenziamenti a raffica per ogni flatulenza effusa. Dinanzi a questa vanagloria così sfrenata, mi chiedo: ma questo fenomeno è mosso da motivi reconditi o da pura ignoranza? Sicuramente l’opinione pubblica ignora la situazione reale che alberga all’interno della pubblica amministrazione ed è per questo motivo che l’impiegato che non ha nulla da fare viene scambiato per fannullone. Infatti, sbrigate le pratiche giornaliere, in attesa di rispettare l’orario d’uscita, il “pinguino” deambula per i corridoi, al bar oppure passa ore e ore al telefono e su internet. Probabilmente il ministro non sa, o non vuol sapere, che moltissimi dipendenti potrebbero essere impiegati con il telelavoro. Tale sistema comporterebbe un risparmio impressionante: acquisti, affitti e mantenimento delle strutture, luce, telefono, riscaldamento, straordinari, buoni pasto, traffico, carburante e smog. Vi pare poco per un Paese in crisi e fradicio di sprechi? In più, l’impiegato in telelavoro avrebbe la possibilità di badare anche ai figli, ai genitori anziani senza bisogno di “arrangiarsi” o togliere altri soldi dal quel sussidio che viene chiamato stipendio (lo stipendio, grazie a Prodi, lo prendono i dirigenti). Allora, perché non si attua il telelavoro? Forse crea un certo scompenso a chi adora avere i suoi “pinguini” a portata di mano? Crea forti pruriti a chi inzuppa il pane nei vari passaggi strutturali? In tal caso, invece di prendersela con persone incolpevoli, sarebbe opportuno sistemare certe questioni. Il ministro dovrebbe evitare di nuocere al buon lavoro del presidente Berlusconi ed occuparsi di fenomeni ben più gravi come l’occultamento degli atti di quei dipendenti trasferiti e collocati illecitamente nei ruoli dei dicasteri. E sì. Mentre si parla tanto di fannulloni, si tace su fatti decisamente paradossali. Sostengo da sempre che la classe politica italiana è molto fortunata perché può fare ciò che vuole col suo popolino a cui basta un dimenar di chiappe e una partita di calcio in “tivvù” per ingoiare tutto. Giulio Gangi.