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Commento di kthrcds

su Iran, forse siamo in errore?


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kthrcds 27 giugno 2009 14:00

Indipendentemente dal fatto che ciò che sta succedendo in questi giorni in Iran sia da considerarsi come affare interno, la brutale repressione del dissenso operata dalle forze governative non dovrebbe lasciare indifferenti coloro che credono che un governo è pienamente legittimato solo quando sa offrire alla popolazione gli strumenti culturali che le consentano di essere consapevole e partecipe del processo democratico.

Pur comprendendo quanto sia complicato attribuire i torti e le ragioni alle parti in causa nell’attuale vicenda iraniana, non si può comunque rimanere insensibili a quanto sta accadendo in queste ore a quella parte di popolazione iraniana che, rifiutando di continuare ad assoggettarsi ad un’anacronistica teocrazia, subisce arresti, violenze, torture e uccisioni – è di oggi la notizia che i falchi del regime hanno sollecitato l’ayatollah Khamenei ad applicare la pena di morte nei confronti di «quelli che guidano le proteste contro la rielezione di Mahmud Ahmadinejad e maggiori controlli nei confronti della stampa estera» (http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/esteri/iran-5/morte-pena/morte-pena.html), e si vede negato il più elementare dei diritti: quello di prendere le distanze da un potere che non sa e non vuole essere contemporaneo. Di questo si è reso conto Hossein Montazeri, uno tra i maggiori ayatollah iraniani che risiede e lavora nella città santa di Qom, il quale non ha mancato di far sentire la sua voce critica circa l’operato del governo, avvertendo che la repressione delle proteste di piazza potrebbe sradicare le fondamenta del governo, “per quanto possa essere potente”. Sulla stessa linea si è espresso anche Hossein Moussavi Tabrizi, segretario generale del Comitato scientifico della Scuola religiosa di Qom.

L’Iran non è un Paese del Terzo mondo che subisce il fascino dell’occidente, ma è una nazione di profonda cultura, per molti aspetti moderna, e la sua popolazione è in larga misura composta da giovani che non sono molto dissimili da noi occidentali:vestono come noi, usano le medesime tecnologie, e hanno compreso – non da oggi - che Ahmadinejad è un serio ostacolo sulla strada verso il futuro che vogliono costruire.

Ciò non significa, però, che i giovani iraniani vogliano ripudiare le tradizioni islamiche del loro Paese per trasformarsi in una massa amorfa di consumatori di cose inutili come accade qui da noi. Vogliono avere voce in capitolo per ciò che riguarda il loro futuro e il progresso della loro nazione, ma non intendono con ciò buttare a mare le loro secolari tradizioni culturali, religiose, sociali e politiche. In altri termini, non si stanno scontrando con il sistema di potere per approdare all’Isola dei famosi o al Grande fratello. Non chiedono aiuto all’occidente per diventare “moderni” perché lo sono già.

Nel caso dell’Iran sarei portato ad escludere che i movimenti di protesta siano manovrati dagli Stati uniti. È noto che gli Stati uniti hanno sobillato mezzo mondo e instaurato dittature tra le più feroci per proteggere i loro interessi. Ma il caso dell’Iran non mi sembra riconducibile alle recenti “rivoluzioni colorate” – peraltro andate fallite nel breve termine – poste in essere in alcune delle ex repubbliche sovietiche.

In primo luogo perché, come già detto, l’Iran non guarda all’occidente con reverenziale ammirazione – soprattutto dopo l’operato di Bush in medioriente. In secondo luogo perché Ahmadinejad è funzionale agli interessi del Pentagono perché rappresenta il “nemico” ideale. Quel nemico che gli permette di chiedere ai contribuenti americani gli ingenti contributi fiscali che fagocita ogni anno per sostenere il suo elefantiaco apparato bellico. Dall’altro lato, l’etichetta di feroce nemico del mondo libero consente ad Ahmadinejad di atteggiarsi a difensore degli “interessi nazionali” nei confronti di quella rilevante parte di società iraniana meno attrezzata per rendersi conto di quali siano i reali interessi in gioco.

In questo particolare momento spiace dover notare l’assenza dei movimenti che si dicono a favore della pace nel mondo. Sarebbe opportuno che l’occidente fosse attraversato da un movimento di contestazione e protesta sul modello del movement statunitense contro la guerra del Vietnam.

Sarebbe auspicabile che un simile movimento si mobilitasse contro tutti quei Paesi come Iran, Birmania, Corea del Nord, Cina, Cuba, ecc. – e, perché no?, anche questa Italia governata da un nostalgico del fascismo, ormai incapace di intendere e di volere - che rifiutano alle loro popolazioni di decidere per il proprio futuro, , ed elaborasse una strategia di opposizione e resistenza su scala planetaria attraverso Internet.

Internet forse si rivelerà uno strumento utile a contrastare e rendere evidenti le menzogne dei regimi più retrivi e oscurantisti. L’Iran si sta rivelando un interessante banco di prova per ciò che riguarda le potenzialità della rete.

Sul web sta girando un video di Joan Baez che canta We shall over come in farsi, la lingua dell’Iran (http://tv.repubblica.it/copertina/joan-baez-canta-per-l-iran/34380?video).

La guerra in Vietnam finì anche per le proteste dei movimenti che in tutto il mondo ad essa si opposero.

Se è un’utopia pensare che si possano fermare le guerre e i regimi tirannici solo con la forza delle idee, è un’utopia anche credere che si possa continuare ad andare avanti così ancora per molto tempo.

Dopo quello che i potenti del mondo ci hanno costretto a subire negli ultimi quarant’anni, forse è giunto il momento di tornare a pensare alle “utopie”.


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