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Woody Allen torna alla sua New York e ci regala un film bellissimo

Da tempo non si vedeva un Woody Allen così in forma. Ci aveva abituati per molti anni a film carini, piacevoli, stilisticamente “giusti” come gli ultimi MatchPoint e Vicki Cristina Barcelona però molti estimatori si erano rassegnati ad un lento declino creativo di questo regista.

Con “Basta che funzioni” (Whatever Works) Allen ritorna alla sua migliore forma espressiva; ironia, dissacrazione,saggezza, le stesse che ci avevano incantato con Manhattan e ci avevano fatto riflettere su tutte le nevrosi del mondo comprese ovviamente le nostre, insegnandoci a prenderle con un sorriso.

Così con questo suo ultimo exploit Woody ci presenta un alter ego di nome Boris che di Allen incarna debolezze e presunzioni. Boris infatti è un genio che se pure incompreso non se ne cruccia perché lui è al di sopra delle umane fragilità e dei “vermetti”, l’umanità intera, che le incarna.
 
In Boris si ha dunque, da parte di Allen, la rappresentazione e dunque la presa di coscienza dei propri tic, nevrosi quotidiane derivate per lo più da un contesto sociale alienante e privo di significato.
 
Boris è un misantropo che vive da sfigato con amici altrettanto sfigati, velleitari, chiacchieroni inconcludenti, proprio nel Village, ricettacolo e luogo di coltura di tutte le nevrosi della Grande Mela. Nevrosi da astinenza o iperattività sessuale, da successo rincorso infaticabilmente e altrettanto infaticabilmente “bucato”. Nevrosi da bigottismo religioso, da conformismo sociale, da abitudinari riti svuotati di senso.
 
Ma lui, Boris da genio qual è o crede di essere, non si cura delle umane miserie, le accetta e ne fa una disperata filosofia di vita. Tenta il suicidio ma non riuscendogli, ne ottiene soltanto una gamba immobilizzata; il matrimonio è un disastro; il sesso gli fa schifo; l’amore è un’invenzione.
 
Dagli altri come lui lo distingue, oltre alla convinzione della sua genialità, un’ipocondria invincibile, sempre in guerra con i batteri, che gli fa lavare continuamente le mani e ogni volta a mo’ di scongiuro gli fa cantare Happy Birthday to you.

Un caso disperato questo Boris finché un giorno …accade l’inverosimile. Da quel momento tutto cambia e… incomincia a funzionare. (Basta che funzioni).
Raccontato così il film può sembrare quasi banale; bisogna vederlo per gustarne le battute e magari vederlo due volte per coglierne la poesia che si concretizza nelle musiche: il jazz di New Orleans che irrompe come un’esplosione di felicità nei momenti più drammatici nonché un romantico, intramontabile motivo di Cole Porter, che riporta a tutti la magia dell’amore. Un film che rincuora e rasserena, un invito ad abbandonarsi alla semplicità del quotidiano, lasciando perdere le ingabbianti sovrastrutture.
 

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