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Weidmann-Draghi: opposte miopie

Ieri, in un editoriale, il direttore del SoleRoberto Napoletano, ha posto un singolare veto sulla “candidatura” di Jens Weidmann a successore di Mario Draghi. E sin qui, nulla quaestio (battutona bancaria). Napoletano dipinge Weidmann come una sorta di automa insensibile alla realtà, un vulcaniano degenerato ed anaffettivo, l’erede immeritevole di Hans Tietmeyer, che quando lasciò la guida della Buba si prese un bel rimbrotto di commiato dall’ex cancelliere Helmut Schmidt causa sua rigidità nel sostenere i parametri di Maastricht senza spiegare da dove originassero quei numeri. Ognuno è libero di criticare i tedeschi come meglio crede, ci mancherebbe. Solo servirebbe farlo con motivazioni non eccessivamente stranianti.

Napoletano difende a spada tratta la “libertà” delle banche italiane di inzeppare di titoli di stato i propri bilanci. Per carità, legittimo farlo. Così come legittimo per il governo tedesco dire di no alla garanzia unica sui depositi, per evitare che la mutualizzazione del debito pubblico rientri dalla finestra in assenza di esplicito trattato. Resta comunque bizzarro il fatto che gli italiani accusino la Germania di non voler garantire il nostro debito pubblico per via indiretta, cioè tramite la garanzia unica sui depositi. “Ma lo avevano promesso!”, è l’italico piagnisteo. Ma benedetti figlioli, riuscite a rendervi conto che quella tedesca è reazione difensiva a tutta la “flessibilità” che Renzi sta portandosi a casa, sommata al persistente disordine dei conti di paesi come Francia e Spagna? Non riuscite a vedere la disfunzionalità estrema di una costruzione europea dove i bilanci nazionali e soprattutto la composizione del deficit sono e restano nelle mani dei singoli stati ma le ricadute di deficit e la sostenibilità di debito rischiano di finire su tutti? Non dovrebbe essere difficile.

La stessa difesa da linea del Piave della presenza patologica di titoli di stato nel portafoglio delle banche italiane dovrebbe spingere Napoletano e non solo lui a chiedersi perché siamo finiti in questa situazione, e cosa si può fare per correggerla. Le banche, di solito, esistono per prestare ad imprese e famiglie, è il ritornello dei nostri media e politici. Salvo finire sulle barricate di fronte all’ipotesi di liberare spazio nei loro bilanci, riducendo il peso dei titoli di stato. Va bene, queste sono scelte che vanno fatte nei più elevati consessi regolatori mondiali, come il Comitato di Basilea, e non a livello di Europa. Prendiamo atto. Ma prendiamo anche atto che, in caso di dissesto italiano, cioè se il debito pubblico sfuggisse di mano, avremo davanti a noi questa inesorabile sequenza: nuova drammatica spremuta fiscale a danno dei contribuenti italiani e, ove non sufficiente, ristrutturazione del debito pubblico a mezzo di riduzione del suo valore attuale, cioè allungamento delle scadenze e/o riduzione del tasso d’interesse. A quel punto, però, le banche italiane finirebbero in dissesto subitaneo, e a cascata servirebbe un bail-in dei risparmiatori per tenerle in piedi. Quindi altro colpo mortale al paese. “Ecco, vedi che sei d’accordo con noi? La colpa di tutto è della Germania, che non vuole pagarci la garanzia unica sui depositi!“. Ma anche no, perché quella interverrebbe solo dopo il bail-in di obbligazioni subordinate ed eventualmente senior, cioè per proteggere i depositi. Detto in altro modo: perché criminalizzare la Germania al grido “assisteteci, o facciamo casino?” Non faremmo casino, in realtà: ci faremmo esplodere in una camera di cemento armato. Solo noi, non è bellissimo?

Ma il punto non è neppure questa orgogliosa rivendicazione a farsi assistere, mentre stiamo per cantare Bella ciao: sono gli esempi portati dal direttore del Sole per illustrare quanto la Germania sarebbe ipocrita. Ad esempio questo:

«[…] ma che cosa si dovrebbe dire dell’enorme peso statale nell’economia tedesca a partire dalle sue banche o della debolezza nell’apertura alla concorrenza dei servizi?»

Obiezioni surreali. Se un paese ha oltre un terzo del proprio sistema bancario in mano pubblica, dovrebbe essere stigmatizzato per questo? In che modo questo danneggerebbe il contribuente italiano, forse perché eventuali dissesti bancari tedeschi si schianterebbero direttamente nelle tasche dei contribuenti di quel paese? Ma ci rendiamo conto di quello che scriviamo? Detto dal giornale che vagheggia la rinascita delle Bin? Detto dal paese dove la spesa pubblica supera ormai ampiamente il 50% del Pil ma con esiti non esattamente scandinavi, peraltro? E detto dal paese dove non c’è un c. di modo di mettere a gara le concessioni dei servizi pubblici locali, segnatamente (ma non solo) dei trasporti? O dove le concessioni delle spiagge avvengono reiteratamente per proroghe perché Bolkestein e la sua direttiva no pasaran? Il paese che ci ha dato l’Atac e Roma Capitale con la sua bella bad company, nota come gestione commissariale? Dottor Napoletano, lei ricorda Alitalia? Quella dei tempi d’oro e quella “salvata” da Etihad, dopo che Poste Italiane ha immolato centinaia di milioni per acquisirne una quota come foglia di fico? “Enorme peso statale nell’economia tedesca“, lei dice?

Critichiamo pure la miopia tedesca, è lecito farlo e a volte pure appropriato. Ma cerchiamo di guardarci in casa, ed evitare di muovere rilievi ad altri proprio dove ci farebbe più male. Il vittimismo elevato a stile di vita nuoce a noi, non ai nostri presunti “nemici”. E se vogliamo essere più forti di loro, il modo c’è: riprendere a crescere, piegare il debito pubblico. Oppure, prendere una bella scorciatoia: fuori dalla moneta unica, monetizzare tutto ed accettarne le conseguenze. Perché la nostra anima sudamericana non potrà mai amalgamarsi con quella dei vulcaniani tedeschi. E una preghiera: evitiamo battute infelici come quella sulle “pulci con la tosse”, riferita a paesi e popoli europei. L’Italia di tutto ha bisogno tranne che nazionalismo straccione, peraltro ricorrente nella nostra storia tragicamente farsesca.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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