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Vorresti davvero chiudere il mare?

“L’umanità sarà poca, meticcia, zingara e andrà a piedi. Avrà per bottino la vita, la più grande ricchezza da trasmettere ai figli”. Erri De Luca – Sola andata

Con la lettura di alcuni spezzoni tratti da un testo del giornalista e scrittore Erri De Luca, interpretati da un attivista di Emergency, si apre la giornata di riflessione collettiva organizzata dal gruppo di Saronno di Amnesty International.

Protagonista indiscusso il film-documentario Mare chiuso, realizzato da Stefano Liberti Andrea Segre. Il video si rivela un’aperta denuncia nei confronti di coloro che antepongono i luoghi comuni e il disinteresse alla vita umana estranea al semplice e indiscutibile diritto di ogni uomo di vivere, sentirsi protetto e sviluppare la propria dignità nel rispetto di sé e degli altri.

La proiezione prende in analisi il periodo tra il maggio 2009 e il settembre 2010, in cui oltre duemila migranti africani vennero intercettati nelle acque del Mediterraneo e respinti in Libia dalla marina e dalla polizia italiane; in seguito agli accordi tra i premier Gheddafi e Berlusconi, infatti, le barche dei migranti venivano sistematicamente ricondotte in territorio libico, dove non esisteva alcun diritto di protezione e la polizia esercitava indisturbata varie forme di abusi e di violenze. 

Nel marzo 2011, con l’inizio della guerra in Libia, in migliaia sono scappati e tra questi anche profughi etiopi, eritrei e somali che erano stati precedentemente vittime dei respingimenti italiani e che si sono rifugiati nel campo UNHCR di Shousha, in Tunisia, dove i registi li hanno incontrati e ascoltati.

Ciò che fa sì che Mare chiuso possa essere considerato più che un film, è il fatto che durante la sua intera visione lo spettatore è accompagnato immagine per immagine dal racconto diretto degli sventurati protagonisti, con cui crea un legame empatico talmente profondo che in un primo momento, impulsivamente e irrazionalmente, ci si scopre pieni di gioia quando l’Italia viene condannata dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo per la violazione dell’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ( “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”), prima di sprofondare nel più totale senso di disagio e di distacco dal proprio, dal nostro Stato.

La sentenza pronunciata riguarda il respingimento di circa 200 persone (tra cui donne e bambini) originarie della Somalia e dell’Eritrea avvenuto il 6 maggio 2009, quando a 35 miglia a sud di Lampedusa, in acque internazionali, le autorità italiane intercettarono la loro imbarcazione e dopo averle trasferite a bordo di un natante italiano le ricondussero in Libia, senza che questi conoscessero la loro destinazione, ingannati dalla nazionalità dei loro “salvatori”, pensando così che la loro traversata fosse finalmente giunta al termine e non che fosse destinata a retrocedere sino al punto di inizio. Di questi migranti, 24 furono rintracciati e la loro storia portata a testimonianza di fronte alla Corte Europea, chiave di volta per la condanna al nostro Stato che decise di applicare il proprio diritto troppo al di fuori del quadro normativo previsto ed al di sopra del pieno riconoscimento al diritto di fuga.

Di quel governo italiano sembra rimanere poco oggi, ma il segnale che venne dalla Corte Europea non fu di poco conto, ed è bene che se ne ricordi nel dettaglio. Dei 24 migranti rintracciati, a 22 fu conferito un risarcimento di 15mila euro, a noi rimane un peso da portare e da cui non disconoscersi.

 

Giulia Raimondi per Segnali di fumo - il magazine sui Diritti Umani

Scritto da Giulia Raimondi, classe 1993, studia scienze sociali per la globalizzazione presso l’Università degli Studi di Milano. Attivista di Spazio Mondi Migranti, entra a far parte di Amnesty International dopo una collaborazione per la testata giornalistica LegnanoNews e la partecipazione al campo estivo Panta Rei.

 

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