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Vale la pena investire in Italia?

Secondo una stima Eurostat ogni anno le aziende Italiane contribuiscono al gettito fiscale nazionale per oltre 110 miliardi di euro, che aggiunti ad una serie di tasse locali, di cui il paese è pieno, ed ai 95 miliardi di euro pagati per la previdenza, (dati Cgia di Mestre), che vanno sommati (dati Presidenza del Consiglio dei Ministri) ai 31 miliardi di euro come ulteriore patimento inflitto alle imprese italiane dalla nostra burocrazia, arriviamo alla cifra di 248,8 miliardi di euro che le nostre aziende versano ogni anno all'erario.

La sola soffocante macchina della pubblica amministrazione brucia in media 47 giorni di lavoro per ogni imprenditore e 28 giorni per ogni dipendente, affossando di circa 2 punti percentuali il Pil, il tutto aggravato dai fenomeni di corruzione da cui purtroppo l'Italia è afflitta, contribuisce a mantenere il nostro paese negli ultimi posti della classifica dei luoghi dove val la pena investire, come testimoniato anche dalle recenti considerazioni finali estratte dal report annuale del Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco.

In questo quadro non mancano le sollecitazioni al mondo imprenditoriale ad investire e credere nelle possibilità di questa nazione, anzi spesso gli auspici del mondo politico ed istituzionale diventano accuse, quando un'azienda chiude o delocalizza in cerca di prati più verdi e campi diciamo più semplici da coltivare. Ma se resta importante continuare a spingere i nostri uomini e donne ad investire in Italia, lo è forse ancor di più ricreare le condizioni affinché il fare impresa sia possibile, nei tempi opportuni e con una semplificazione normativa da sempre auspicata e promessa da tutti i governi, ma mai realmente attuata.

Anche dalla semplice lettura di questo elenco di costi, si deduce quante occasioni ogni giorno continuiamo a perdere e che livello di mortificazione da cittadini di questo paese dobbiamo sopportare nel leggerci nelle classifiche internazionali costantemente nelle ultime posizioni, per mancata giustizia, per indice di corruzione o per lentezza della cosa pubblica, l'abitudine ormai antica di scaricare sulle spalle altrui, che siano uomini e donne o imprese, la cattiva gestione del nostro stato troppo spesso patrigno, ha reso tutti noi vittime di una cultura del demerito e della penalizzazione del successo (legittimo) di chi ben opera.

Si continua a cercare modi e maniere per colpire chi potrebbe investire, continuiamo a complicare la vita di chi vorrebbe fare e sempre più di frequente si trova a dover rinunciare per effetto di quel mare di carte ed incompetenze che si annidano nei vari uffici e nelle molteplici facce, di funzionari pubblici ingiudicabili ed inamovibili, continuiamo ad alimentare l'idea di una comunità di birbanti per giustificare il continuo sopruso ai nostri diritti, facendo cadere sulle spalle dei più deboli gli oneri che lo stato non sa assolvere. Insomma continuiamo troppo spesso a fare del nostro peggio e nonostante questo milioni di imprenditori e di lavoratori continuano invece a fare del loro meglio per raccontare chi siamo e di che pasta siamo fatti, perché questa nazione ogni giorno continua a fabbricare i suoi sogni, coltivando talento, immaginazione e bellezza che contagiano il mondo, a volte rendendolo migliore, altre "italianizzandolo" un po' di più e lo scrivo intendendo questa una qualità positiva e della quale andare molto orgogliosi, perché essere italiani resta una fortuna straordinaria che merita di essere coltivata e promossa magari anche qui nel belpaese.

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