V-Day di Genova con, sul palco, il demagogo e il dema-gogò
Chi ha avuto modo di assistere alla diretta televisiva della manifestazione genovese dei grillini ha potuto godere in pieno di una mirabile performance interpretata da un infreddolito Dario Fo, pregna di contenuti del più alto livello sotto il profilo culturale e condivisibile senza riserve nella denuncia di ogni malefatta della classe politica contemporanea. Ma lo stampo del demagogo traspare in Dario Fo, di tanto in tanto, sia nei toni sia negli argomenti, con le classiche furberie del tribuno “da strada” avvezzo a strappare l’applauso della platea attraverso tecniche sperimentate. Le cadute di stile la dicono lunga in tal senso, come ad esempio i riferimenti alla moglie, teatralizzati fin sopra le righe, con un Beppe Grillo perfino lui imbarazzato dalla faccenda. Quel che impressiona negativamente nell’intervento di Dario Fo è la mancanza assoluta di una qualche proposta politica e programmatica capace di conferire la seppur minima base di progetto alle sacrosante denunce. Insomma, Dario Fo si conferma un “grande vecchio” capacissimo di reggere il palco della critica, inconsistente sul palco della proposta.
Beppe Grillo, dal canto suo, ribadisce in pieno la svolta a destra (ammesso e non concesso che la collocazione politica fosse prima diversa) cavalcando i temi del più becero populismo, non creandosi problemi nel proporre l’improponibile, come ad esempio un referendum per l’uscita dell’Italia dall’Euro, pur sapendo che un referendum in materia è formalmente impedito dalla normativa corrente. Ancora una volta il MoVimento assume le sembianze del Mo’ Vi Mento. Ma non basta: l’ex comico continua a strappare applausi a suon di banalità da panchina, ma elude ogni riferimento ai disastrosi risultati delle sue liste nelle recenti tornate elettorali, col meno 10% e oltre delle regionali nel Molise e il crollo a percentuali da mera ambasceria fantasma in quelle del Trentino-Alto Adige. Il dotto demagogo Dario Fo si ritrova, dunque, a sostenere il comico dema-gogò Beppe Grillo, senza riuscire a discernere tra forma e sostanza, tra l’apparire e l’essere. Lo sosteneva già Paul Géraldy: “Seduciamo usando le menzogne e pretendiamo che ci amino per quel che siamo”. Già…
Purtroppo le reazioni a caldo di eminenti personaggi del PD a difesa del Presidente Napolitano, pesantemente attaccato da Grillo, fanno il paio con l’atteggiamento di Dario Fo. Le accuse a Napolitano da parte del M5S, esclusa la melodrammatica richiesta di “impeachment”, non sono del tutto campate in aria. Qualora il PD smettesse di ragionare col medesimo metro ideologico di Dario Fo (non si può evocare Grillo che di metri di riferimento dimostra di non averne) potrebbe trovare anch’esso ragioni a non finire per criticare pesantemente certi comportamenti e certe decisioni del Presidente Napolitano durante il suo primo mandato e ancor più in questo secondo, data la comprovata inaccettabile tolleranza verso Berlusconi, tale da far sorgere, in alcuni “passaggi”, il legittimo dubbio di un sostegno amorevole nei confronti di costui ben oltre il dovuto, seppur in funzione della carica ricoperta.
La conclusione? Siamo mal messi, stretti tra una maggioranza di Governo inaffidabile, una opposizione di destra indecente (come definire chi appoggia e si affida a un pregiudicato?) e una opposizione di non si sa ché, il M5S, capace solo di denunciare l’ovvio senza un briciolo di costruttività, anzi, operando nelle istituzioni affinché la situazione contingente possa perdurare, nella illusione di ricavarne ulteriori consensi, perseguendo il ben noto principio del “tanto peggio, tanto meglio”.
Purtroppo, le primarie del PD non sono riuscite a dare speranze, con un Renzi in pool position, impregnato di concetti camuffati di sinistra, ma dalla inconfondibile sostanza neo-liberista e, dunque, forieri di ulteriori malefatte nei confronti dell’intera società. Cuperlo avrebbe potuto rappresentare una qualche alternativa credibile, invece il suo dire attraverso occhi gelidi e sorrisi freddi, ma soprattutto col gesticolare mutuato da un aspirante vescovo, fanno sospettare che anche lui potrebbe non essere esempio di coerenza. L’unico che avrebbe potuto rappresentare una reale svolta nel PD, Civati, non scommette neppure lui su una propria affermazione tale da incidere sulle future scelte del partito.
Allora teniamoci i demagoghi, i dema-gogò, i burocrati di partito, gli insignificanti peones, gli innumerevoli arse-lickers, i milionari di lungo corso, condannati e non, dentro o fuori dal Parlamento e stappiamo pure lo spumante a capodanno, ma senza augurarci stavolta “anno nuovo, vita nuova”; non è il caso.
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