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Unioni civili: l’anno della civiltà

Si sta mobilitando seriamente, il mondo cattolico. Con toni che talvolta ricordano le vecchie battaglie referendarie contro il divorzio e l’aborto. Accanto alle sentinelle in piedi che hanno chiamato alla veglia ininterrotta, c’è anche il parroco che dedica l’ora di adorazione del santissimo sacramento alle preghiere contro il riconoscimento dell’adozione alle coppie gay, un’eventualità che “intimorisce” lui e i suoi fedeli. Non manca nemmeno chi invita a marciare su Roma contro “gli atti impuri” e i “peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio” compiuti da questa “generazione corrotta e pervertita”.

 Ha il sostegno del cardinal Bagnasco, la mobilitazione cattolica. Secondo il presidente dei vescovi italiani “ci sono cose più importanti delle unioni civili”. Tanto sono insignificanti, che ha invitato il suo popolo a scendere in piazza contro di esse. Chissà se anche questo Family Day sarà finanziato con i fondi dell’Otto per Mille: non mi sembra esattamente il massimo della finezza manifestare per orientare le leggi di uno Stato che ti eroga ogni anno oltre sei miliardi di euro.

Il papa, che in quanto primate d’Italia ha personalmente nominato Bagnasco, non ne prende le distanze: qualcuno enfatizza la possibilità che gli abbia annullato un’udienza, ma sono messaggi comprensibili solo agli addetti ai lavori. Resta il fatto che, “proponendosi di dichiarare la verità”, ha invitato, anche lui, a distinguere tra unioni civili e “la famiglia voluta da Dio”. C'è da augurarsi che spinga a riflettere quegli intellettuali progressisti che con ossessiva frequenza ne tessono le lodi, intervallate soltanto dai lamenti per la progressiva irrilevanza della sinistra (e mai che riflettano sulla possibile esistenza di un nesso).

È un bene che i cattolici manifestino. Il nostro Stato non è infatti clericale a causa dei Family Day o degli attacchi di Bagnasco. Uno stato laico è precisamente quello che li consente, come è accaduto in tutti i paesi che hanno approvato i matrimoni omosessuali nonostante si siano pacificamente svolte manifestazioni contrarie promosse dalle confessioni religiose. No, il nostro Stato è clericale perché, quando i cattolici manifestano, quando i porporati attaccano, persino quando un parroco di campagna si limita ad accennare un dissenso, i nostri politici scattano quasi all’unisono per cercare di accontentarli. Perché nel nostro paese si scatenano furiosi confronti su argomenti come l’omofobia, ma poi si arriva in parlamento e le proposte di legge vengono prima depotenziate, poi cadono nell’oblio, come sta accadendo per l’omofobia.

Perché nel nostro paese manca uno spazio pubblico dove si confrontino le rispettive posizioni. Un paese dove la Chiesa dice la sua, ma anche altri dicono la loro ad armi pari criticando la Chiesa. Dove i cittadini possono dunque consapevolmente formarsi un’opinione.

A giudicare dalla schizofrenia dei sondaggi, molti cittadini brancolano invece nel buio, forse nemmeno comprendono di cosa si sta parlando. Anche se è forte la sensazione, dati alla mano, che la religione faccia più presa sulle coscienze dei politici che su quelle degli elettori. Sembriamo un paese dell’Est, anche dal punto di vista della legislazione: siamo l’unico paese occidentale a non avere una normativa sulla materia.

Nell’Unione Europea siamo rimasti al fianco di paesi come Cipro, Romania e Bulgaria - ed è forse questa collocazione internazionale, più che la mera assenza di una legge, a risultare imbarazzante per chi si pretende rottamatore. Già, perché nonostante i solleciti del parlamento europeo e della Corte europea dei diritti dell’uomo, della Corte Costituzionale e di quella di Cassazione, per arrivare a un riconoscimento delle unioni civili ci si è ormai ridotti a fare affidamento alla compattezza del giglio magico del premier, che al Family Day originale, quello del 2007, ci aveva pure partecipato.

E tutto questo per un progetto che più minimale non si può, assai meno coraggioso di quelli approvati in paesi molto più “cattolici” del nostro come Malta e Irlanda.

Un progetto di legge contro il quale nuove obiezioni vengono improvvisamente (ma regolarmente) frapposte ogni qualvolta se ne supera una. Le ultime sembrano provenire addirittura dal Quirinale, perché purtroppo c’è di mezzo anche la Costituzione: che per molti sarà pure “la più bella del mondo”, ma in cui la parola ‘laicità’ non c’è. I Patti Laternanesi invece sì. Una costituzione laica è una costituzione che evolve insieme alla società a cui si riferisce – e la nostra, ormai, è secolarizzata e plurale. Nessuno si azzarda invece a proporre modifiche nel timore (in parte giustificato, ma sostanzialmente ingiustificato) che si aprano praterie per interventi ben peggiori in altre sue parti. Tanto vale rassegnarsi in partenza a ogni battaglia per il riconoscimento dei matrimoni omosessuali.

È necessaria come il pane la diffusione di un’idea di società differente da quella delle gerarchie ecclesiastiche. Non voglio arrivare a dire che quello in atto è uno scontro di civiltà. Ma deve essere chiaro che è in atto un duro confronto tra concezioni assai diverse in materia di diritti, eguaglianza, presa d’atto della realtà. Le coppie gay esistono, i loro figli pure, si considerano una famiglia e continueranno a considerarsi una famiglia anche in assenza di una legge.

Si tratta ora di cominciare a riconoscere loro qualche diritto in più, senza – fino a prova contraria - ledere quelli di nessun altro. E pazienza se il loro amore non è ritenuto canonico da chi, per legge (religiosa), una famiglia non ha a sua volta diritto a crearla. L’Italia deve finalmente dimostrare di voler essere uno stato laico e civile. Più numerosi saremo sabato  nelle piazze italiane, più la possibilità sarà concreta.

Raffaele Carcano, segretario Uaar

Questo articolo è stato pubblicato qui

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