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Una volta eravamo -isti, oggi siamo -iani. Che brutta fine

Lungi dal volersi impelagare in uno slalom attraverso concetti quali deonimici, eponimi, deantroponimici, deonomastici e amenità varie tali da far venire il mal di testa persino ai linguisti (figuriamoci ai comuni mortali), in questo "pezzo" si vuole analizzare in estrema sintesi la differenza prodotta dal trascorrere del tempo nell'offerta politica indirizzata al cosiddetto italiano medio.

Limitando l'attenzione ai suffissi citati nel titolo, si può convenire che una volta esistevano i socialisti, i comunisti, i marxisti, i liberisti, i fascisti, i nazisti e via dicendo. Fanno eccezione i democristiani (e pochi altri) che da sempre hanno adottato il suffisso -iani, forse in anticipo sui tempi.

Dall'ingresso in politica di Berlusconi, tutto cambia, compresi i suffissi. Ecco allora, subito dopo i precursori craxiani, fare la loro comparsa i berlusconiani e, via via nel tempo, i finiani, i casiniani (salvatisi dal suffisso -isti, per un pelo, altrimenti si pensi all'imbarazzo), i montiani e persino i grilli(a)ni che hanno visto bene di elidere la "a". Ma non basta: il PD, unico tra i grandi partiti ad aver conservato sino a poco tempo fa un filo di democrazia interna, dopo le europee capitola sul fronte del suffisso e oramai viene definito il "Partito renziano".

L'evoluzione, per chi la voglia considerare tale, è chiara non solo dal lato semantico, ma da quello più propriamente politico: addio ai grandi partiti -isti quali insiemi di organizzazioni democratiche di base, sostituiti dai partiti personali o partiti azienda, quelli -iani, monopolizzatori della politica affaristica, opposizione grillina compresa, ad onta di quanto vuole apparire.

La tragedia di questa mutazione sta nella progressiva rinuncia alla democrazia quale "piazza" di confronto e dibattito trasmutando il tutto nella imposizione del volere del capo-turno partitico, on-line e off-line. La sostanza di questa dannosa evoluzione sta nella ricerca del consenso attuata con le più banali tecniche della comunicazione pubblicitaria, tipo quella di un giovane e simpatico cuoco che pubblicizza una bibita, definita "stura-lavandini", proponendola in accoppiata ai formaggi e salumi DOC dei nostri valorosi produttori agro-alimentari. Nessuno ha protestato, neppure i maestri vinai, così come capita in politica per i messaggi truffaldini dei partiti e movimenti, tutti accomunati. A volte verrebbe da riconsiderare la censura, se non fosse sconveniente.

Insomma, la politica diventa sempre più personalizzata e le tecniche del consenso sono sempre più appannaggio di chi possiede, direttamente e/o indirettamente, i capitali per farla. Addio alla democrazia, dunque? Forse no, ma poco ci manca. Come riportano molti giornali, quattro multinazionali della finanza mondiale, Deloitte, Kpmg, Ernst&Yung e Pricewaterhouse, che si spartiscono oltre 18 miliardi di dollari di fatturato, fanno pressione in tutti i modi possibili e immaginabili, pubblicità sui "Media" compresa, per ostacolare il referendum per l'introduzione di un voto democratico nella città di Hong-Kong, ex colonia britannica ora cinese, come risaputo. Insomma, i massimi rappresentanti del capitalismo "democratico", quelli che sono contro lo statuto dei lavoratori e i loro seppur minimi diritti ovunque nel mondo (partito renziano compreso, a stare alle ultime sparate in materia), appoggiano il regime comunista (o meglio, capitalista di stato) di Pechino il quale sta garantendo la massima "democrazia finanziaria", ma guai a parlare di libertà personali. Sembra di sentire Marchionne in casa nostra. Anche questa è globalizzazione.

Ecco come si declina, nella forma come nella sostanza, la profonda differenza tra gli -isti e gli -iani. E, a proposito di -iani, una cosa è certa: i democristiani, quelli cattivi che esistevano un tempo, sono sempre più numerosi tra noi, ovunque si annidino, destra, centro o sinistra, governo o opposizione.

Photo: Tiberio Barchielli, palazzochigi.it

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