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Un "sogno" per il prossimo 2 giugno

A leggere le note di stampa, qui e là, il 2 giugno al ricevimento nei giardini del palazzo presidenziale c’è stato il consolidato sfolgorio di personalità.

Tutti in “carriera”, o quasi, nelle nobili arti della fulgida rappresentazione sociale ed istituzionale.

L’elenco e molto lungo. A nominar qualcuno, si corre il rischio di autoflagellarsi nel “settarismo”. Con mesto pudore taccio. Tuti in ghingheri, dame e cavalieri. Nomi altisonanti, ben noti nelle variegate cronache nazionali.

Politici professionisti, perennemente in prima fila; rappresentanti istituzionali delle varie gerarchie; militari di lungo corso; rappresentanti dei mestieri praticati nei piani alti; attori, cantanti, artisti, e “giocolieri” presenzialisti. Tutta gente, di certo, quotidianamente “baciata” dalla fortuna repubblicana. Riveriti e rispettati. Ben messi, nel portamento e nel portafoglio.

Tutti, certamente, come sancito nell’orgoglio nazionale, “tengono famiglia”. Piccole, grandi, medie, secondo gli usi e costumi ricorrenti. Tutti rispettabili. Diocenegaurdi dai cattivi pensieri.

Eppure, come nelle migliori tifoserie calcistiche che nel corso della vita sognano la “serie A”, un improvviso sogno mi assale. Che proprio per il 2 giugno, per il ricevimento, i giardini presidenziali siano aperti a tutti gli altri, e solo a loro.

Quelli, nei sessanta milioni dei residenti repubblicani, che mai assurgono direttamente nelle cronache, tranne l’inserimento, per forza di cose e di numeri, nelle statistiche nazionali, in virtù di appartenenza al censo considerato e alle “virtù” correlate: lavoratori, dipendendoti e non; pensionati al minimo e non, disoccupati; giovani inseriti nel mondo del lavoro o alla ricerca di occupazione; casalinghe, volontari di questo o di quello; migranti; nati in Italia senza cittadinanza; ragazzi che faticosamente si destreggiano nel coacervo montante cercando di “farsi le ossa”; clandestini, purché appartenenti alla razza umana; e così via.

Sono il nerbo della Repubblica.

Si può garbatamente raccomandare di mettere l’abito buono, tenuto in serbo per feste e cerimonie, e di non starnazzare. Il garbo civile si misura con la tonalità e con il volume. L’interessante, certo, è che abbiano la fedina penale pulita. Nessuna condanna, neanche per “schiamazzi” usati in difesa del posto di lavoro.

Poi, all’improvviso la mano destra mi colpisce il viso.

La “voce”, violenta, mi sbraita: “sciocco populista, questa non è democrazia”.

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