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Un segreto chiamato impunità

«L’azione penale» nei confronti di Nicolò Pollari (nella foto) e di Marco Mancini, «per quanto legittimamente iniziata, non può essere proseguita per esistenza del segreto di Stato opposto dalla presidenza del Consiglio dei ministri». Non leggeremo parole molto dissimili da queste nelle motivazioni della sentenza di appello del processo Abu Omar, l’imam sequestrato e poi deportato in Egitto, dove fu torturato per sette mesi. La situazione di Nicolò Pollari e di Marco Mancini, per i quali il procuratore generale Piero De Petris chiedeva 12 e 10 anni di reclusione per concorso nel sequestro di persona, rimane invariata.

Il «non doversi procedere» per i due ex dirigenti del Sismi è stato confermato dalla sentenza d’appello del processo agli agenti dei servizi segreti italiani e statunitensi, che inasprisce le pene per numerosi agenti della Cia, tra i quali il dirigente Bob Lady (9 anni) e il comandante della base aerea di Aviano Joseph Romano (7 anni), e rimanda a giudizio Jeff Castelli – numero uno della Cia in Italia, che in primo grado era stato protetto dall’immunità diplomatica – per un errore nel decreto di citazione.

Cerchiamo di vederci chiaro. Non cambia molto rispetto a quanto stabilito il 4 novembre 2009 nella sentenza di primo grado: il sequestro dell’imam c’è stato e i responsabili che sono stati individuati appartengono in larga maggioranza alla Cia. Pur essendo aumentate le pene per i vertici della Cia in Italia, le responsabilità dei due imputati eccellenti, Nicolò Pollari e Marco Mancini - che apparirono lampanti in documenti ed intercettazioni (come la conversazione tra Marco Mancini e Gustavo Pignero) poi cestinati per la loro «inutilizzabilità processuale» - non sono accertabili a causa del segreto di Stato posto sia dal Governo Prodi che dal Governo Berlusconi. Entrambi i Presidenti del Consiglio in un primo momento negarono che ci fossero segreti da opporre, poi sollevarono una serie intricata di conflitti di attribuzione tra l’esecutivo, la Procura e il tribunale, che terminò di fronte ai giudici della Corte costituzionale.

In primo grado il giudice Oscar Magi, alla luce della sentenza della Corte, precisò che l’ex capo del Sismi e il suo vice erano coperti da un «ombrello immunitario», che la loro posizione si trovava in una «zona di indecidibilità processuale», ai limiti di una «possibile eccezione assoluta ed incontrollabile allo Stato di diritto». «Se non è stato possibile arrivare a una condanna, è stato solo a causa del segreto di Stato opposto da due governi», osservò amareggiato il procuratore aggiunto Armando Spataro.

Di poco variate le condanne degli altri agenti dei servizi segreti italiani. La Corte d’appello di Milano ha ridotto leggermente le pene detentive (2 anni e 8 mesi) e annullato quelle pecuniarie (il risarcimento di 1 milione e mezzo di euro ad Abu Omar sarà versato interamente dagli americani) nei confronti di Pio Pompa e Luciano Sena.

Poi c’è Renato Farina, l’“agente Betulla”. Il primo firmatario delle inchieste-bufala che gli commissionava Pio Pompa, il redattore in smoking che si vantava di ricevere dei compensi dal Sismi per tentare di interferire con la Procura di Milano e per depistare le indagini sul sequestro pubblicando notizie false, patteggiò per favoreggiamento in primo grado 6 mesi, convertiti in una pena pecuniaria di 6800 euro. Al di là del patteggiamento, ricordando anche i falsi dossier su Prodi (accusato di aver autorizzato i rapimenti illegali della Cia in Italia!) pubblicati su Libero e gli improperi rivolti a giornalisti come Enzo Baldoni, morto in Iraq, definito «un pirlacchione»; sembra che un “ombrello immunitario” sia stato aperto anche sulla testa di Betulla, visto che questo imbrattacarte ancora fa parte dell’Ordine dei giornalisti.

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