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Un premio per la libertà di pensiero

Si chiama "Premio Sakharov per la libertà di pensiero" e si tratta di un riconoscimento attribuito a un soggetto, persona od organizzazione, che abbia contribuito attivamente alla difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali.Il premio è dedicato a Andrei Sakharov, fisico nucleare russo che a partire dal 1950 collabora allo sviluppo della bomba atomica per l’ex URSS. Proprio in quel periodo, Sakharov inizia a interrogarsi sulle implicazioni morali ed etiche della proliferazione nucleare.

Il suo saggio "Riflessioni sul progresso", la convivenza pacifica e la libertà intellettuale, pubblicato e diffuso clandestinamente nel 1968 sia in Russia che all’estero, lo rende un dissidente agli occhi del regime. Insignito del premio Nobel per la pace nel 1975, a partire dal 1980 è esiliato a Gorky per essersi apertamente dichiarato contrario all’invasione sovietica dell’Afghanistan. Liberato nel 1986 da Mikhail Gorbachev, è eletto deputato di opposizione del nuovo Parlamento russo nel 1989. Nello stesso anno, però, Andrei Sakharov muore a Mosca.

Il premio a lui dedicato è stato istituito nel 1988 dal Parlamento Europeo
che continua ancora oggi ad assegnarlo annualmente alla personalità che meglio incarni la lotta all’oppressione e l’impegno nella difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali. I candidati sono nominati da un gruppo parlamentare o da almeno 40 membri del Parlamento e poi presentati alla riunione congiunta dei comitati Affari, Sviluppo e del sottocomitato Diritti umani. Il calendario del premio Sakharov di quest’anno prevede per oggi la presentazione delle candidature alla riunione congiunta che annuncerà i tre finalisti il 20 ottobre. Sarà poi la Conferenza dei presidenti, il 27 ottobre a Strasburgo, a scegliere il vincitore. Il premio, insieme a 50.000 euro, verrà consegnato il 14 dicembre. La cerimonia di premiazione, infatti, si svolge da sempre intorno al 10 dicembre, in memoria della sottoscrizione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo avvenuta il 10 dicembre 1948.


I candidati di quest’anno sono: Izzeldin Abuelaish, medico palestinese membro fondatore della Daughters for life foundation e da anni impegnato nel processo di pacificazione israelo-palestinese; il movimento La primavera araba, rappresentato da cinque attivisti che hanno operato contro i regimi autoritari dei rispettivi paesi; Dzmitry Bandarenka, giornalista bielorusso impegnato nel processo di democratizzazione della Bielorussia e di ingresso del suo paese nell’Unione europea; Boris Pahor, scrittore nato a Trieste, ma di origine slovena, da sempre impegnato nella lotta contro i regimi totalitari; San José de Apartado Peace Community, comunità di contadini colombiani che in un paese dalle forti ingiustizie civili e sociali vive secondo valori di pace difendendo la libertà.

Dalla sua istituzione, il premio Sakharov è stato vinto da personalità quali Nelson Mandela (1988), Aung San Suu Kyi (1990), Damas de Blanco (2005) e nel 2009 tra i candidati vi era anche Roberto Saviano. La scorsa edizione ha visto vincitore Guillermo Fariñas, psicologo e giornalista impegnato a destare l’attenzione del mondo sulla situazione cubana e sul destino dei suoi prigionieri politici. Fariñas ha trascorso 11 anni e mezzo in carcere e come strumento di lotta ha scelto lo sciopero della fame. Lo scorso anno, Guillermo Fariñas non ha partecipato alla cerimonia di premiazione: temeva che, una volta uscito dal paese, il governo cubano non l’avrebbe più fatto rientrare. Fariñas, che da sempre rifiuta l’idea di un esilio in Spagna, vuole rimanere a Cuba e continuare a lottare. Al suo posto durante la cerimonia, una sedia vuota coperta dalla bandiera cubana e un messaggio registrato in cui Fariñas chiede all’Unione europea particolare attenzione nelle scelte che riguardano i rapporti con il suo paese. Quella dello scorso anno, però, non è la sola sedia vuota vista in occasione della cerimonia di premiazione del Sakharov. Prima di Fariñas, non avevano potuto ritirare personalmente il premio neppure l’attivista dissidente cinese Hu Jia, nel 2008, le Damas de blanco, nel 2005, e Aung San Suu Kyi, nel 1990.

In questi giorni di crisi economica, finanziaria e sociale; in questi giorni di norme ad personam e di mancate riforme; in questi giorni di leggi bavaglio e ammazzablog, tutti gli italiani sono chiamati a una maggiore partecipazione attiva alla vita politica, culturale e sociale del nostro paese. È necessario difendere la nostra libertà di espressione, la nostra libertà di pensiero. Perché quello che dobbiamo salvare non è solo la possibilità di dire ciò che pensiamo, ma la possibilità stessa di pensare. C’è da mettere al sicuro la libertà del singolo di avere un pensiero diverso da quello di chi governa; c’è da mettere al sicuro la libertà del singolo di avere un pensiero critico su chi governa. Infatti, ridurre in stato comatoso la libertà di espressione è il primo passo verso l’omologazione e l’annullamento del pensiero critico; il primo passo verso la spaventosa società orwelliana del Grande Fratello. Noi non possiamo permettere che ciò avvenga. Il nostro premio non sarà il Sakharov, ma la dignità.

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