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Un pò per caso un pò per desiderio, di Danièle Thompson

D’accordo, “tu chiamale se vuoi …” commedie, d’accordo, sono leggere, fanno sorridere e fanno commuovere, ma questo non gli toglie valore. E’ impagabile la scena in cui il “pianista” di fama Albert Dupontel interrompe il concerto, si spoglia del frac e in maglietta e bretelle finalmente respira, confessa al pubblico che con quei vestiti e con quei riti non ce la fa, conclude il concerto per cui lo pagano, l’ultimo. Impagabile lo sguardo con cui dal palco interroga la moglie in platea – la splendida allora, nel 2006, 50enne Laura Morante – se lo seguirà nella sua scelta oppure no, impagabili le lacrime di questa.

Secondo lui, “come le religioni sono una grande muraglia tra Dio e gli uomini, così i concerti lo sono tra la musica e l’uomo”, non sopporta più le bardature, le cerimonie le interviste e i salamelecchi. Ama suonare gratuitamente nel “Service de Cancerologie” dell’ospedale, con un maglione qualsiasi addosso, davanti a quei bambini e vecchi malati si commuove, i suoi occhi sono vivi, è entusiasta, mentre nei concerti col pubblico che paga per quel “rito”, e anche tanto, il suo viso mostra sofferenza. Ci sono 6 anni di contratti firmati davanti a sé e alla moglie, sua agente ma anche sua spalla, che ha speso la vita solo per il lavoro del marito, ma lui suonerebbe piuttosto nei boschi, nelle prigioni, per i bambini malati.
 


E’ la sera del 17 marzo, vicino al Café des Theatres dove la protagonista Jessica fortunosamente lavora – Cécile de France, una ragazzina acqua e sapone di 30 anni nel 2006 - “raggio di sole” della sua nonna che l’ha allevata da quando a quattro anni perse i genitori, si compiono tre diversi destini: quello dell’Albert citato, quello di Valérie Lemercier che viene scritturata dal “grande regista” Sidney Pollack per la parte di Simone de Beauvoir, così come Valérie la intende, e quello dell’anziano “collezionista d’arte” Claude Brasseur. Malato di tumore, uno per cui “un giorno il tempo che passa diventa il tempo che resta”, confessa al figlio che la collezione, quel continuo cercare bei quadri e opere su cui reinvestire il denaro di cui è ricco, era una barricata per lui e la moglie, contro la noia e contro il tempo, “un giorno il cuore non batte più” e lui non vuole “finire come guardiano di un museo”: quella sera vende tutto ad una fruttuosissima asta, salvo “Il bacio” di Brancusi, una scultura che ritira dall’asta e che regalerà al figlio che la desidera per Jessica, a cui quella scultura “fa venir voglia di innamorarsi”.
 
L’incantata Jessica è arrivata a Parigi senza nessuna certezza, dorme in stanze di fortuna, ha trovato un lavoro precario nel Café da cui transitano le glorie che bazzicano Avenue Montaigne, sembra la sua una passeggiata nella fiaba, personaggi che si sentono normali quando mangiano un panino, un mondo a parte. Incantata tra queste “stelle” che in qualche modo la adottano, s’innamora del personaggio meno di grido del cast, un giovane letterato dimesso e col mal di schiena, figlio del “collezionista” Brasseur.
 
Il sorriso e la commozione del film derivano dall’ottima interpretazione di ogni attore, sia nelle parti di personaggi famosi che in quelle di persone di contorno in quel mondo. Le tinte non sono mai troppo forti, dev’essere per la delicata mano femminile di Danièle Thompson, regista, soggettista e pure sceneggiatrice del film “Fauteils d’orchestre” (poltrone). Buon sapore invecchiato hanno le canzoni di Aznavour (una è “Les Comédiens”) e di Bécaud, e molto parigina la colonna sonora di Nicola Piovani. Si addicono quattro stelle a un film visto tre volte?

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