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Un futuro italiano per la Francia?

Il governatore della banca centrale francese, Christian Noyersi è espresso oggi a favore di misure di taglio della spesa pubblica per raggiungere l’obiettivo del 3 per cento del rapporto deficit-Pil entro il prossimo anno, ammesso (e quasi certamente concesso) di riuscire ad ottenere da Bruxelles un rinvio di un anno nel percorso di consolidamento fiscale.

Partendo dalla premessa che agire sulla leva di nuove entrate è improponibile, a meno di essere aspiranti suicidi ed aver comunque capito assai poco di cosa serva realmente per fare gettito, Noyer indica soprattutto un’area di risparmio di spesa pubblica: quella che condurrà François Hollande all’appuntamento col destino cinico e baro.

Secondo Noyer la Francia deve tagliare, quest’anno ed il prossimo, una somma complessiva di 40 miliardi di euro, pari all’aumento di spesa pubblica “spontaneo” previsto nel biennio. Ciò dovrebbe avvenire attraverso interventi sulla spesa pensionistica e, in subordine, al costo del lavoro pubblico. Dal primo versante, si potrebbe pensare a misure “italiane” (ma non solo) quali la deindicizzazione totale o parziale delle rivalutazioni pensionistiche.

Ma questa sarebbe comunque una soluzione di second best, visto che serve una riforma che incida in profondità sulle contingent liabilities, cioè sugli esborsi previdenziali futuri dello stato. Noyer arriva a calcolare la necessità di tagliare la spesa pensionistica del 10-15 per cento per piegare la traiettoria del debito. Anche qui, si tratta di misura “italiana”, con un taglio drastico alle passività future. Noyer propone anche il congelamento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici. Ancora una volta, noi italiani potremmo assumere un’espressione orgogliosa e proclamare solennemente, manco fossimo francesi: “Fatto!”

A questo punto, attendiamo fiduciosi l’esito dei negoziati tra Parigi e la Commissione: Hollande ed i suoi sono con le spalle al muro, nel senso che non possono aumentare ulteriormente la pressione fiscale ma solo agire sulle spese, anche se questa sarebbe la certificazione di un fallimento epocale per l’inquilino dell’Eliseo oltre che per la parolaia sinistra francese.

Ora, siamo al dunque: vedremo se per la Francia si prepara un destino “italiano”, sia pure con la rilevantissima eccezione di un costo del denaro nettamente inferiore al nostro (e malgrado ciò hanno comunque disoccupazione sopra il 10 per cento), oppure se ha ragione Paul Krugman. In questo secondo caso (che a noi continua ad apparire eventualità remota), torneremo a chiederci: perché loro sì e noi no?

Perché solo noi abbiamo fatto i compiti a casa e per quel motivo stiamo per fallire? Perché noi siamo già usciti (pare) dalla Procedura per Deficit Eccessivo e tutti gli altri ottengono rinvii? Ed a quel punto potremo (potremmo) prendere gli assai trendy forconi e chiedere conto ai nostri dilemmatici prigionieri.

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