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Un’egemonia più "gentile"

Se è tempo di bilanci per il presidente uscente Bush, lo è anche per la salute della superpotenza americana, scossa da due guerre e una grave crisi economica. Se ne è occupato di recente sul Washington Post l’analista militare Robert Kaplan, editorialista del The Atlantic e senior fellow del Center for a New American Security, think tank bipartisan che propone una politica estera «forte, pragmatica e morale», dal quale Obama ha pescato alcune personalità di primo piano della sua politica di sicurezza nazionale.

Kaplan è un realista muscolare: «E’ vero che c’è un ritorno al realismo, ed è una buona cosa», ha scritto tempo fa riguardo l’approccio più pragmatico e multilaterale degli ultimi quattro anni di Bush, pur ammettendo che «senza una componente idealista nella nostra politica estera, nulla ci distinguerebbe dai nostri avversari. Questa cosa, essa stessa, porterebbe al declino del potere americano».

E nel suo ultimo editoriale sul Washington Post lascia intendere tra le righe che la presidenza Bush non sia stata così disastrosa come si dice, non tanto da aver determinato il declino americano. Anzi, per questo secolo prevede che gli Stati Uniti continueranno ad essere egemoni, ma sarà «un’egemonia più gentile». Il «declinismo è nell’aria», scrive sul Washington Post: «L’ultimo luogo comune è che la combinazione tra la disastrosa guerra in Iraq, la crescita economica e militare dell’Asia, e la grave recessione in Occidente abbia punito l’America, ponendo fine alla sua egemonia mondiale. E’ ora di essere modesti. C’è qualcosa di vero in questo, ma parlare di declino è esagerato».

L’analogia più appropriata gli sembra quella con l’Impero britannico dopo i moti indiani del 1857 e 1858. I tentativi di esportare i frutti della civiltà occidentale, per quanto virtuosi, provocarono la rivolta contro l’autorità imperiale. Eppure, non fu la fine dell’Impero britannico, che durò circa un altro secolo. Piuttosto, segnò il passaggio da un impero desideroso di imporre i propri valori all’estero a un impero «più tranquillo, più pragmatico, basato sul commercio, l’istruzione e la tecnologia».



«Questo è il punto in cui siamo noi oggi, dopo l’Iraq: più tranquilli, più pragmatici e con una forza militare – soprattutto la Marina – sia pure relativamente in declino, ancora molto superiore ad ogni altra sulla Terra... La potenza militare americana non sta svanendo... rimane in agguato all’orizzonte. E ciò farà la differenza. Possiamo non essere più nel "momento unipolare" di cui ha parlato Charles Krauthammer, ma non siamo nemmeno diventati come la Svezia».

Il «declinismo» tanto predicato oggi «andrà subito fuori moda alla prossima catastrofe umanitaria mondiale, quando i molti popoli irritati con le forze armate americane a causa dell’Iraq ci chiederanno di guidare una coalizione per salvare delle vite». Il fatto è che «la forza militare americana rimane una forza del bene, un fatto che sarà evidente nelle prossime crisi». Naturalmente, spiega Kaplan, «stiamo entrando in un mondo più multipolare» e ci sono altre realtà oltre a Cina e India. «Non dovremmo però sottovalutare l’influenza morale e diplomatica della combinazione tra la forza militare più presente nel mondo e un nuovo presidente che può vantare alti indici di approvazione in patria e all’estero». Per esempio, «nessun’altra potenza ha i mezzi per organizzare un accordo di pace tra israeliani e palestinesi, e il nostro intervento in Iraq non ha cambiato questo fatto».

«Tutti odiano la parola, ma gli Stati Uniti sono ancora in qualche modo egemoni, capaci di influenzare il mondo da una posizione di forza morale. Tuttavia, dopo l’Iraq, l’egemonia americana si dimostrerà cambiata come quella britannica dopo i moti indiani. Sarà una versione più benevola e temperata rispetto agli anni recenti. D’ora in poi, formeremo coalizioni piuttosto che agire da soli. Dopo tutto, è l’essenza di un lungo ed elegante declino: passare la responsabilità ad altre nazioni dalla mentalità simile non appena le loro capacità crescono».

Se per Kaplan la forza militare continuerà ad essere tra i più importanti pilastri dell’egemonia Usa, sul futuro delle forze armate americane vi segnalo, in uscita sul numero di gennaio di Foreign Affairs, un saggio del segretario alla Difesa della seconda amministrazione Bush, Robert Gates, l’unico confermato al suo posto dal presidente-eletto Obama: "Una strategia equilibrata. Riprogrammare il Pentagono per una nuova era", è il titolo.

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