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Un atroce inganno dietro l’impiccagione del manifestante iraniano Ghobadlou

In Iran, all’alba del 23 gennaio è stato impiccato Mohammad Ghobadlou (nella foto), un manifestante di 23 anni con disabilità mentale, a seguito di un processo e di una sentenza avvolte dal segreto, mentre la famiglia e l’avvocato pensavano fosse in corso una revisione della condanna.

Ghobadlou era stato arrestato nei primi giorni delle proteste del movimento Donna Vita Libertà. Era stato accusato di aver investito a morte un funzionario di polizia durante una protesta nella capitale Teheran, il 22 settembre 2022. Era stato condannato a morte, al termine di un processo irregolare, il 24 novembre dello stesso anno e la condanna era stata confermata dalla sezione 39 della Corte suprema il 12 marzo 2023.

Il 25 luglio 2023, tuttavia, la prima sezione della Corte suprema aveva annullato la condanna e ordinato un nuovo processo che valutasse anche le possibili attenuanti legate alle condizioni di salute mentale di Ghobadlou.

Il nuovo processo non c’è mai stato.

Secondo documenti ufficiali pubblicati su X dall’avvocato di Ghobadlou poco prima dell’esecuzione, su sollecitazione del capo della procura di Teheran il capo della magistratura Gholamhossein Mohseni Eje’i ha bloccato il nuovo processo e rinviato il caso ai giudici della sezione 39 della Corte suprema, quella che aveva precedentemente ratificato la condanna a morte.

A seguito delle proteste nazionali e internazionali, dopo l’impiccagione la sezione 39 della Corte suprema ha reso noto un verdetto datato 4 gennaio 2024, mai visto prima, che in un paragrafo annullava, senza fornire alcuna spiegazione, il verdetto emesso nel luglio 2023 dalla prima sezione.

L’esecuzione di Ghobadlou, dunque, è stata un atroce inganno nei confronti dei suoi familiari e del suo avvocato, tenuti all’oscuro della decisione delle più alte cariche dello stato di aggirare i procedimenti legali, i principi più elementari di umanità e lo stato di diritto.

 

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