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Un altro genere di spread: l’occupazione femminile tra Italia e Olanda

Spread è una parola che da qualche tempo si sente spesso, e ormai sappiamo tutti benissimo che significa differenziale. Misurare un differenziale può essere utile per renderci conto che effettivamente esistono molte differenze tra noi che viviamo in Italia e i nostri vicini che vivono in altri paesi d’Europa.

Questa volta vorrei trattare il tema dell’occupazione femminile, confrontando Italia e Olanda, il mio paese natale e quello in cui vivo. Quello che vedremmo non è un dato inedito, ma merita di essere commentato. L’Italia è uno dei pochi paesi in Europa in cui l’occupazione femminile è addirittura sotto il 50%. Non solo, l’occupazione femminile è circa il 20% inferiore a quella maschile. In Olanda il tasso di occupazione femminile si avvicina al 70%

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Perché questo scarto così importante tra l’occupazione maschile e quella femminile in Italia si riduce in maniera così drastica in Olanda? Perché il mercato del lavoro italiano è così poco aperto alle donne?

Esiste in Italia un problema culturale di dimensioni importanti: in una società che vuole le donne sempre un passo indietro, dedite alla casa, figli e mariti, le donne lavorano in un clima ostile che scoraggia in ogni modo e colpevolizza la ricerca di una realizzazione personale che non sia confinata tra le mura domestiche.

Gli ostacoli culturali si traducono naturalmente in ostacoli di natura pratica: innanzi tutto esiste una differenza nella retribuzione, il gap salariale tra uomini e donne in Italia è tra i più alti d’Europa; è ancora diffusa la pratica delle dimissioni in bianco che vengono fatte firmare al momento dell’assunzione e fatte valere in caso di gravidanza; le donne si trovano a supplire le lacune del welfare per quanto riguarda l’accudimento dei soggetti più deboli, primi tra tutti i bambini e gli anziani; le forme di flessibilità come il l’home office e l’orario flessibile sono scarsamente diffuse e il part time è spesso involontario (scelto cioè dal datore di lavoro e non dalla lavoratrice, che ha così un rischio maggiore di licenziamento); mancano i servizi necessari per permettere alle donne di rientrare al lavoro dopo la maternità: pochi asili nido pubblici con graduatorie che si basano su numero di figli e reddito familiare, asili privati estremamente costosi e detrazioni fiscali minime per le rette di questi ultimi, tutti con orari che non coprono l’orario lavorativo, spesso inadeguati per rapporto educatrici/bambini e in qualche caso tristemente oggetto di cronaca.

Il tutto si traduce in una forte discriminazione tra uomini e donne che porta a questi deprimenti dati sull’occupazione.

In Olanda la resistenza nei confronti dell’occupazione femminile è stata molto forte fino agli anni ’60, cioè fino a quando non è esistita la possibilità di una pianificazione familiare seria; con il diffondersi dei metodi contraccettivi la partecipazione delle donne alla vita lavorativa del paese è aumentata fino a raggiungere il livello attuale.

La differenza radicale tra i due paesi è culturale: in Olanda non è così forte l’idea tradizionale di famiglia e così si combinano più facilmente un tasso di natalità più alto (1,76 figli per donna in Olanda contro 1,4 in Italia) e una maggiore occupazione femminile (69,3% contro 46,1%).

Come si rende possibile questa combinazione?

L’OCSE nel 2012 ha presentato un rapporto dal titolo Closing the Gender Gap dove si rileva che l’occupazione femminile aumenta tanto più quanto si avvicina il numero di ore di lavoro non retribuito svolte dagli uomini e dalle donne.

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In Italia le donne impegnano ogni giorno oltre 5,5 ore nel lavoro non retribuito, gli uomini poco più di 1,5 ore; in Olanda le donne impegnano circa 4,5 ore nel lavoro non retribuito, gli uomini circa 2,7.

Abbiamo quindi un differenziale importante tra Italia e Olanda, non tanto in termini di quantità di ore di lavoro non retribuito totali, ma in termini di distribuzione di queste ore tra uomini e donne.

La situazione nella quale questo dato si viene a creare in Italia l’abbiamo esplorata sopra. In Olanda la situazione è diversa: lo Stato è intervenuto a sostegno dell’occupazione femminile in molti modi e con buoni risultati.

Il primo importante passo è stato quello di rendere accessibile il lavoro part-time per legge sia alle donne sia agli uomini in modo non discriminatorio e conveniente per il datore di lavoro che ha dei benefici fiscali per i lavoratori a tempo parziale. Inoltre la maggior parte dei contratti collettivi prevede come obbligatorio per il datore di lavoro concedere il part time a 4/5 per i genitori di bambini minori di 3 anni d’età.

Ma la chiave di volta si trova nella politica dei contributi statali per le varie forme di accudimento dei bambini (asilo, asilo familiare, tata a domicilio, doposcuola): la possibilità di chiedere i contributi statali è subordinata al fatto che entrambi i genitori lavorino (tranne nel caso dei genitori single) ed è calcolata in base alle ore lavorate dal genitore che lavora di meno e al reddito familiare complessivo, per ogni minore in famiglia. Questo si concretizza in una maggiore convenienza per le famiglie con figli ad avere due genitori che lavorano un numero di ore meno sproporzionato per massimizzare il contributo statale per la cura dei figli (e preciso, ma tornerò sull’argomento più avanti, che per genitori non si intende genitori sposati, ma genitori che si dichiarino partner fiscali).

Insomma, esattamente il contrario dell’Italia, dove si considerano per le graduatorie per gli asili nidi pubblici il reddito familiare complessivo e il numero di figli, senza osservare se in famiglia entrambi i genitori hanno un’occupazione (di fatto il quoziente familiare che si è rischiato persino per la tassazione sul reddito, che avrebbe favorito enormemente le famiglie monoreddito con figli) rendendo così antieconomico il lavoro delle donne e favorendo la disoccupazione e il lavoro nero femminili.

C’è un altra voce importante che in Italia gonfia le ore di lavoro non retribuito che svolgono le donne, anche se è più una conseguenza della loro mancata partecipazione al mercato del lavoro che una causa: mi riferisco alla cura delle persone anziane e delle persone con disabilità. Anche in questo caso l’Olanda lavora in accordo con enti privati e attraverso le assicurazioni sanitarie. Esistono case di riposo e di cura, tutte private ma tutte no profit, con standard qualitativi stabiliti e controllati dallo Stato e per le quali è previsto, come nel caso degli asili, un contributo statale per chi ne usufruisce in modo da renderle accessibili a tutti.

Di nuovo gli olandesi si caratterizzano nel pragmatismo con il quale affrontano le sfide di una società che cambia: non si cerca ti mantenere il modello familiare fermo mentre il mondo gira, ma si cercano nuove vie che possano portare un vantaggio concreto per i cittadini.

Ecco qui un altro differenziale interessante da osservare e indagare. Chissà che non possa diventare un nuovo spunto di riflessione per l’Italia.

 

Foto in home: J.E. Porrier/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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