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Un altro genere di spread: l’aborto e l’educazione alla prevenzione, tra Italia e Olanda

Spread è una parola che da qualche tempo si sente spesso e ci sono tutte le premesse perché continui a perseguitarci molto a lungo. Ormai sappiamo tutti che significa differenziale. Se mettessimo da parte l’insofferenza dovuta all’uso eccessivo di questa parola innocente e malamente utilizzata, scopriremmo che misurare un differenziale può essere molto utile: potremmo renderci conto che effettivamente esistono molte differenze tra noi che viviamo in Italia e i nostri vicini che vivono in altri paesi d’Europa.

In particolare mi piacerebbe parlare di un tema delicato, quello dell’interruzione volontaria di gravidanza, facendo un piccolo confronto tra l’Italia, mia patria natia, e l’Olanda, mia patria d’adozione.

L’Italia ha una legge sull’aborto, la famosa legge 194/78. La legge consente l’interruzione volontaria della gravidanza nel caso in cui sussista un pericolo per la salute fisica o psichica della donna, entro le 13 settimane; entro le 22 settimane solo se sussistono gravi malformazioni che rendano possibile il ricorso all’aborto terapeutico.

In pratica la legge funziona male: negli ospedali cresce il numero degli obiettori (in alcune regioni sfiora ormai l’85%), l’aborto terapeutico è consentito fino ad un’epoca pericolosamente vicina a quella in cui vengono effettuate le diagnosi tramite amniocentesi, le liste d’attesa sono lunghe e lente e gli ospedali sono stati aperti ai movimenti per la vita che contribuiscono a creare un clima quantomeno scoraggiante. Questo genera terreno fertile per gli aborti clandestini, che tornano a popolare la cronaca (penso ad esempio al caso della diciassettenne che ha rischiato pochi giorni fa la vita per un aborto causato da farmaci per l’ulcera) e che vengono stimati, probabilmente al ribasso, per un numero che raggiunge quasi la metà del numero di aborti legali. A ciò si accompagna uno scarsissimo ricorso alla pillola e alla contraccezione in generale, scarsissima informazione e educazione dei giovani, come denuncia la SIGO.

In Olanda la situazione, pur avendo le stesse premesse, è abbastanza diversa. Le stesse premesse nel senso che in Olanda come in Italia la pianificazione familiare è stata un tabù fino alla metà degli anni ’60 e infatti fino a quel momento è rimasto uno dei paesi con la natalità più alta d’Europa. La legge sull’aborto è targata 1981, anche se dal 1975 in avanti la tolleranza in materia è stata all’altezza della fama del paese. La differenza è radicale nelle motivazioni: la legge olandese non prevede nessuna motivazione specifica per permettere il ricorso all’interruzione di gravidanza, se non la volontà della donna. L’aborto è consentito per la gravidanza indesiderata fino alle 25 settimane. Oltre le 25 settimane esiste comunque la possibilità di intervenire a causa di malformazioni (l’aborto terapeutico) ed esiste un protocollo per l’eutanasia neonatale (nel 2006 a seguito della presentazione dello stesso in Italia, si aprì una polemica tra l’allora ministro Giovanardi e il Governo olandese).

Ci si potrebbe aspettare che tutta questa libertà apra una discesa in un abisso di perdizione. E qui arriva un dato inatteso: in Olanda su 100 donne in età fertile (15-49 anni) meno di 3 ricorrono a un’interruzione volontaria di gravidanza; in Italia più di 9. Non solo: in Italia 1 di queste 9 interruzioni si riferisce a donne sotto i 19 anni di età, mentre questa percentuale in Olanda è quattro volte inferiore.

Il motivo di questi tassi così bassi è quello più ovvio: una eccezionalmente diffusa educazione sessuale a partire dalle scuole di base. I primi corsi di educazione sessuale, in generale alla relazione fino alla diversità sessuale, incominciano in molte scuole fin dai 5 anni di età dei bambini. Non esiste una legge che lo rende obbligatorio, ma buona parte delle scuole primarie (circa il 25-30%, in crescita) adotta il corso raccomandato dal Dutch Expert Centre on Sexuality.

Nelle scuole secondarie il corso è generalmente legato al programma di biologia, anche se alcune scuole di stampo religioso (prevalentemente calvinista) lo rifiutano. Esistono inoltre molti altri luoghi in cui corsi generali o su tematiche specifiche come l’emancipazione sessuale femminile e la prevenzione delle aggressioni sessuali sono messi a disposizione dei giovani. La politica olandese è quella comunque di cominciare il prima possibile ad introdurre l’argomento, ovviamente in modo adeguato e tarato sull’età, in modo da rendere l’approccio alla sessualità “naturale come mangiare e dormire”.

L’approccio olandese si basa sull’apertura e sul pragmatismo, per cui si apre a tutte le soluzioni e a tutte le prevenzioni. I risultati sono lontani dall’essere perfetti, ma certo sono migliori che in Italia, dove vengono a mancare le leve di prevenzione e si cerca di supplire a questa mancanza riducendo la libertà decisionale delle donne, con il pregevole risultato di portarci indietro di una generazione.

Ecco qui un differenziale interessante da osservare e indagare. Chissà che non diventi uno spunto di riflessione anche per l’Italia.

 

Foto: Gaelx/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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