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Un Saviano a Roma

Mercoledì 17 dicembre si presentava come il solito poco fruttuoso mercoledì di studio. Ero rassegnata a un pomeriggio nella biblioteca della facoltà di giurisprudenza di Roma Tre, ma il caso mi ha premiata.

Durante una pausa caffè, mi imbatto in un giornalista spaesato che mi chiede “Scusa dov’è Saviano?”. La mia faccia credo sia stata più o meno quella che un giovane studentello del liceo fa davanti una equazione piena di x, y e z. A questo punto il suddetto si è sentito in dovere di spiegarmi che alla facoltà di lettere e filosofia della MIA università c’era una conferenza di Roberto.

Nel giro di cinque minuti raduno un gruppo di volenterosi e ci spostiamo in blocco nella sede di lettere.

Durante il tragitto pensavo a quanto dovevo essere grata a quel giornalista...ma non riuscivo a capire perchè un evento del genere organizzato dagli studenti per gli studenti non fosse stato pubblicizzato nella mia facoltà. Facoltà di Giurisprudenza, in cui si va tanto fieri del seminario sulla storia delle mafie (per altro davvero interessante), ma non si dice neanche per sbaglio che c’è Saviano che vuole raccontarci un po’ di cose...

Dubbi a parte arrivo in facoltà quando l’aula magna è ormai gremita.

Di lì a due minuti Roberto entra in sala accolto da urla e applausi come un divo, come una favolosa rockstar senza folti capelli e jeans attillati. Si siede dietro una scrivania in mezzo ai ragazzi del collettivo e aspetta il suo momento.

La giornata è dedicata alle differenze, agli stereotipi. Come quello che vuole le organizzazioni criminali solo al sud. Ed è qui che si inserisce il verbo di Saviano. Il quale inizia il suo intervento esprimendo la sua enorme soddisfazione per essere in un incontro pubblico, in mezzo agli studenti, posto che gli spetterebbe di diritto, che dovrebbe essere la sua normalità... ma che come sappiamo non lo è. A questo punto si eleva dalla folla un “Daje Robbi” un incoraggiamento che suona un po’ strano e che fa sorridere soprattutto i non romani della sala, Roberto compreso.

L’intervento è in realtà un commento ad alcune immagini, strutturato in 2 fasi.
La prima attiene alla “guerra che ogni giorno si combatte nel sud Italia”. Quella guerra silenziosa, che fa morti giovani, quasi tutti al di sotto dei trentacinque anni. In effetti l’unica impresa che vede capi giovanissimi in Italia è la camorra. Un impresa che si estende in tutti i settori, dal pane al trasporto di carburante, dal settore tessile alla ristorazione. E si estende ben oltre il SUD. Roma è una delle mete preferite: ristoranti, discoteche sono gestite dai capi del Sistema.“Il sud subisce solo l’effetto più schifoso”.

I primi 10 minuti sono un susseguirsi di numeri, spaventosi, che gelano la sala. Chi ha letto il libro sa già e ricorda annuendo tutte quelle nozioni stampate nella testa, gli altri ricevono per la prima volta un colpo allo stomaco... 100 miliardi è il fatturato delle mafie (escludendo gli affari all’estero!) e pensare che Fiat Mondo ne fattura 50... 4.000 sono i morti degli ultimi anni...

E poi le foto.

Sono quasi tutte foto di morti ammazzati dalla camorra. In prima fila ad assistere allo scempio i bambini, ragazzi per cui quello spettacolo di sangue e morte è la quotidianità. I racconti sono quelli contenuti anche nel libro, che a risentirli mi hanno fatto riprovare quella sensazione di disagio e frustrazione che ho provato leggendo la prima volta Gomorra due anni fa.

Come la storia di Manù, quindicenne, che rapina le coppiette. Inesperto, colpisce sempre allo stesso posto, finchè un giorno non viene colto in flagrante dai carabinieri e inseguito muore in una sparatoria. Lui che aveva una pistola falsa. Una frase che corrode lo stomaco è quella del parroco durante il funerale del ragazzo: “Quindici anni è un’età che bussa alle coscienze non con le nocche, ma con le unghie”.

A quindici anni io uscivo con le amiche, con i ragazzi, andavo a scuola, in pizzeria, al cinema e ai concerti. La normalità. Ma quando vedo dei ragazzini che mostrano le foto dei loro coetanei morti come se mostrassero la prova di appartenere a un mondo, di esserci dentro con la coscienza(o l’incoscienza) che non possa essere diverso, mi chiedo cosa sia poi la normalità. O quando scopri che un ragazzo sparato in bocca ha tutti i denti spezzati perchè ha tentato di mordere la canna della pistola, quale gesto disperato, ultimo tentativo di rimanere attaccato alla vita...

Le foto finiscono. Ed ecco la politica. E’ un susseguirsi di frasi taglienti. Di j’accuse a quella che è la classe dirigente. “Mi preme dire che il fatto che il centrosinistra avesse nel sud Italia relazioni con l´imprenditoria criminale e il malaffare lo sappiamo da più di dieci anni. Non è casuale che le due regioni con il maggior numero di Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose siano la Campania e la Calabria da dieci anni governate dal centrosinistra». Risulta normale arricchirsi con le emergenze, prima il terremoto dell’ irpinia nell’80, poi l’emergenza rifiuti. E’ un meccanismo. Sbagliato, ma è così che funziona. E non si limita al sud. Ormai è risaputo: intere città della Francia e del nord Italia sono ripulite da imprese del sud. Ma è pur vero che “Essere precari a Roma o a Milano è meglio che esserlo ad Aversa e Locri”. Ecco. Una frase del genere smonta una giornata intera di lavori sulla discriminazione. Ma è vero. Non si può fare un discorso super partes: la Politica è inevitabilmente condizionata. A prescindere dal rapporto diretto che può legare un politico al Sistema, un profitto di 100miliardi influenza per forza i meccanismi del potere, come lo fa qualunque altra grande impresa italiana. Quello di Saviano è un accorato appello agli elettori, i quali devono pretendere che chi li va a rappresentare sia diverso.



I ragazzi della mia età sono un po’ tutti rassegnati. Ogni popolo ha la classe politica che si merita. Questo penso quando vedo ragazzi che si vantano perchè riescono ad entrare gratis allo stadio, o perchè rubano qualche cretinata all’autogrill... come pretendere che chi ci rappresenta sia così lontano dagli usi comuni? La mia sfiducia è controproducente, ma è molto diffusa. Lo stesso Procuratore aggiunto presso la procura antimafia di Palermo, Roberto Scarpinato, durante un seminario ha detto a noi giovani che dobbiamo reagire a questa situazione, di smetterla di giustificare lo scempio in cui viviamo e di dire che ci meritiamo questa classe politica. Non è così.

Ed il bello di questi incontri è proprio questo, far risvegliare le coscienze assopite. Provare sdegno per il quotidiano può essere il motore del cambiamento.
La seconda trance di foto è meno cruda e a volte spaventosamente surreale tanto da far sorridere.

E’ la raccolta di alcune prime pagine delle testate locali, totalmente servili e utilizzate come mezzo di comunicazione diretta dai vari capi della zona.

Saviano, da comunicatore quale è, interpreta perfettamente ogni titolo, illustrandoci tutto cioè che noi non percepiamo. Quello che suscita più amarezza è sicuramente quello dedicato a Don Peppe Diana. Sul corriere di Caserta campeggia: Don Peppe Diana era un camorrista.

La storia di quest’uomo penso sia ormai nota a tutti. Non ne ha parlato solo Roberto nel suo libro. E’ un simbolo della lotta alla camorra. Il suo scritto “Per amore del mio popolo non tacerò” è una denuncia, perchè don Peppe aveva capito l’importanza delle parole. Era scomodo, Don Peppe. Viene ucciso e poi ovviamente, diffamato. Ed è per questo che a suo tempo la sua storia non ha avuto risonanza nazionale, perchè i “locali” hanno operato in modo da screditare la figura del parroco e da insinuare il dubbio nei giornalisti. La diffamazione crea disagio, - “è vero, non è vero” - e il disagio crea silenzio.

Il tono di Roberto è diverso quando parla di Don Peppe, è rassegnato. Sente che il suo destino, il suo percorso non è diverso. Nel fiume di appunti che prendo sul mio taccuino una frase mi blocca e mi fa chiedere a un vicino “se avevo sentito bene”: “Accadrà lo stesso anche a me”.

Come si fa a guardare in faccia alla propria fine a 28 anni? Come si fa a vivere con la consapevolezza di un non- futuro? Come può dirsi vita quella di un dead man walking?

L’aria è rarefatta dal respiro degli studenti, rapiti, assorti, avidi di notizie.
Una risata rompe il silenzio con il titolo: “Sandokan a Berlusconi: i pentiti sono contro di noi.”

Sandokan si accomuna a Berlusconi in quanto imprenditore. Il suo pensiero è “chi si mette contro il corretto funzionamento dell’economia è contro di noi.” E’ assurdo come gli uomini del sistema siano così attenti alla comunicazione. Lo stesso Schiavone nonostante il 41bis (“carcere duro”) scrive una lettera pubblicata sul giornale locale, e direttore della testata gli risponde “ grazie per la stima...”.

Ogni parola, ogni comunicato ha un preciso destinatario, un preciso scopo. Nulla è lasciato al caso.

Lo stesso modo di presentarsi in pubblico è il frutto di uno studio. Cosimo Di Lauro si fa vedere vestito come il Corvo di Brandon Lee. Per creare la loro leggenda usano le icone classiche del cinema. Ed è divertente ascoltare che le stesse star di Hollywood hanno interrogato Saviano in merito alle abitudini dei boss campani: marca di orologi, dell’intimo..

I personaggi del film di Gomorra, però sono tutt’altro che star. Roberto ci fa vedere un backstage del film. Uno dei personaggi si rifiuta di continuare a girare perchè scopre che a fine scena non ucciderà due ragazzini. I quali, dice DEVONO morire perchè nella realtà così è successo. E poi se torna al suo paese senza aver ucciso nessuno nel film sarà preso in giro da tutti. Una scena degna dei migliori teatri dell’assurdo.

E’ stato bello vedere tanti ragazzi insieme, attenti, con gli occhi incollati su Roberto. Tutti interessati a una realtà che sembra così lontana, così cinematografica, ma è a meno di 2 ore di treno da Roma.

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