• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Economia > Ue, l’anno del salario minimo e dei suoi effetti collaterali

Ue, l’anno del salario minimo e dei suoi effetti collaterali

Nei paesi europei quest'anno si registrano in media significativi aumenti del salario minimo, dove presente, che tuttavia producono anche criticità ed effetti perversi. Per l'Italia, che ne è priva, il danno e la beffa.

Un recente studio di Eurofound, la fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e lavoro, ha rilevato per il 2024 un significativo aumento delle retribuzioni che si trovano in regime di salario minimo. La rilvalutazione è spesso tale da consentire il recupero dell’inflazione cumulata nel periodo 2022-23.

UN COLPO DI RENI

Secondo gli autori dello studio, la dinamica del 2024 risente sia della volontà delle autorità di determinare un recupero dell’inflazione cumulata nel biennio precedente che dei primi impatti della direttiva sul salario minimo adeguato, che dovrà essere trasposta nelle legislazioni nazionali entro il mese di novembre di quest’anno.

Fonte

I criteri di determinazione e aggiornamento dei salari minimi variano tra i paesi dell’Unione: l’indicizzazione automatica all’inflazione è in vigore solo in BelgioFrancia e Lussemburgo, e si attiva quando i prezzi superano una certa soglia. Di conseguenza, nel 2023 in Belgio il salario minimo è stato aumentato in dicembre. In Francia è stato aumentato una volta, ad aprile, mentre in Lussemburgo ci sono stati tre aggiornamenti.

Questa sorta di scala mobile, operante solo sui salari minimi, è motivo di attrito tra imprese (che ne vorrebbero l’abolizione) e sindacati, che in alcuni casi la vorrebbero estesa anche alle retribuzioni che eccedono il salario minimo. In altre realtà europee, l’adeguamento dei salari minimi avviene spesso a seguito di consultazione con le parti sociali. In Spagna, gli imprenditori chiedevano una rivalutazione dei salari minimi del 3-4% e l’indicizzazione dei contratti di acquisto della pubblica amministrazione a tale soglia. Il governo ha respinto la richiesta e firmato un accordo finale con le organizzazioni sindacali che prevede un aumento del 5%.

In alcuni paesi membri, in conseguenza della direttiva sui salari minimi adeguati, l’aggiornamento ha iniziato ad essere correlato ad una percentuale dei salari medi o mediani.

Nei paesi che non prevedono salario minimo (Svezia, Danimarca, Finlandia, Austria), i negoziati hanno visto aumenti salariali con recuperi del potere d’acquisto più o meno in linea con l’inflazione, e tendenza a maggiori incrementi per i salari inferiori.

L’ECCEZIONE ITALIANA E LA TRAPPOLA FRANCESE

Per l’Italia, come segnala lo studio di Eurofound,

La situazione […] è differente, in quanto l’elevato tasso di inflazione non si riflette negli esiti della contrattazione collettiva: con un tasso a 8,7%, i salari in Italia sono cresciuti nel 2022 di solo il 2%. I contratti di 7,7 milioni di lavoratori nel settore privato sono scaduti, portando a riduzioni dei salari reali. Questa è una delle maggiori preoccupazioni dei sindacati, che chiedono con urgenza il rinnovo dei contratti per aumentare i salari e di conseguenza il potere d’acquisto dei lavoratori.

Dalla nota anomalia italiana, si possono trarre alcune considerazioni. In primo luogo, che l’attuale sistema di contrattazione collettiva del nostro paese, con la sua centralizzazione nazionale, potrebbe essere di ostacolo alla crescita delle retribuzioni, e necessitare quindi di una rivisitazione, magari in direzione di maggiore decentramento, a livello territoriale ed aziendale, per meglio riflettere i differenti livelli di produttività. In questo contesto, anche il ruolo del salario minimo potrebbe avere un senso e una funzione.

Servirà osservare l’andamento aggregato dei profitti delle aziende italiane, per verificare se questa spremuta di redditi reali dei lavoratori si è tradotta in una spinta ai profitti, ferma restando la forte eterogeneità del tessuto produttivo del paese, e la necessità di approfondire i dati aggregati.

Ma i problemi non sono solo italiani: in Francia è in corso un vivace dibattito alimentato dai dati che mostrano che il numero di lavoratori in regime di salario minimo è in forte crescita, dal 12% di tre anni addietro al 17% odierno, per un totale di 3,1 milioni di persone che percepiscono lo SMIC (Salaire Minimum Interprofessionel de croissance), pari oggi a un netto di 1.398,69 euro mensili, mentre nel paese il salario mediano nel 2022 era pari a 2.091 euro.

Ma non è finita: nel contesto francese, il salario minimo non rappresenta solo un fattore di “risucchio” delle retribuzioni durante le fasi di elevata inflazione, in conseguenza dell’indicizzazione integrale ai prezzi che va più veloce dei rinnovi contrattuali, ma anche un ostacolo alla successiva fuoriuscita. Il motivo è da ricercare nella generosa decontribuzione offerta dallo stato per chi è in regime di salario minimo, che è un potente disincentivo per datori di lavoro e lavoratori ad innalzare le retribuzioni sopra la soglia dello Smic.

Situazioni del genere, per la quale è stato coniato il termine smicardisation che equivale a impoverimento, sono l’ovvio brodo di coltura dei populismi, con le richieste di reintroduzione integrale della scala mobile, per tutti. Come si nota, la materia è molto delicata e pregna delle cosiddette unintended consequences.

Nel frattempo, per l’Italia, c’è il danno e la beffa, visto che la Banca centrale europea, che vuole essere certa che in Eurozona non sia in atto una spirale prezzi-salari, attende di conoscere i prossimi dati sull’andamento dei salari dell’Eurozona, che saranno pubblicati in aprile, prima di valutare un allentamento monetario.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità