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Tu sei Unicredit, e ti tirano le pietre

Il CEO di Unicredit, Jean-Pierre Mustier, ha annunciato le linee guida del piano industriale quadriennale Team 23, come l’anno in cui si concluderà. Nulla di sorprendente, per la verità: si tratta di ridurre l’eccesso di capacità produttiva, se vogliamo chiamarla così, di cui la banca soffre analogamente a quelle del resto d’Europa, e spingere sulla digitalizzazione. Eppure, ed anche qui la cosa non mi sorprende, l’accoglienza di politica e stampa è stata di malcelata ostilità. Proviamo a capire perché.

Beh, che la politica non veda di buon occhio la riduzione di 8.000 dipendenti Unicredit, di cui 5.500 in Italia, e la chiusura di 450 filiali, non è esattamente la situazione dell’uomo che morde il cane. E infatti, è tutto un agitarsi di comunicati, proclami, sdegno, denuncia delle vergognose logiche capitalistiche, con richieste di convocazione della banca al MISE (restate seri) e ministre del Lavoro “pronte ad agire”, come sempre.

Quello che pressoché nessuno dice è che quella riduzione di personale non sarà ottenuta con licenziamenti bensì col naturale turnover, agevolato da Quota 100, ed in caso con ulteriore attivazione del fondo settoriale che gestisce gli scivoli verso il pensionamento. Niente scene dickensiane, quindi, e meglio sarebbe ricordare che pressoché tutta la politica italiana sostiene Quota 100, che si rivelerà un assai costoso ammortizzatore sociale, ma anche questo sapevamo da sempre. Forse la vera frustrazione dei nostri parolai eletti consiste nel vedere che la magia dell’assunzione di tre giovani per ogni pensionato non sta avverandosi, ed anzi che i rapporti sono rovesciati. La realtà continua a percuotere il modello superfisso.

Piuttosto, colpisce la vera e propria ostilità di ampia parte della stampa italiana verso Unicredit ed il suo CEO. Oggi leggiamo commenti tra lo scettico ed il ditino levato, quando non propriamente accusatore. Svetta, come al solito in queste circostanze, il Sole, che titola un commento di Alessandro Graziani con un singolare ed un po’ sovranista (come da consolidata linea editoriale) “L’investitore applaude, l’Italia no”.

Il commento si sforza di mantenere equilibrio, concedendo che

Il piano piace, si legge nei primi report degli analisti, perché si uniforma ai business plan della grandi banche europee che vedono evaporare parte dei ricavi a causa dei tassi di interesse a zero.

Questo punto accetta la realtà, fatta di una trasformazione epocale delle banche, causata da digitalizzazione e dal veleno dei tassi negativi. Ma è un momento di oggettività che presto vacilla. Dovete sapere che da tempo Unicredit è sotto la lente di politica e stampa sovrana perché sospettata di voler realizzare una aggregazione transfrontaliera. Che tempi, signora mia.

Ricordo che il Sole si sbracciava segnalando alla politica che, in caso di successo dei colloqui di fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank, esisteva il ferale rischio che Unicredit si sposasse con Société Générale, con conseguente rapimento dei risparmi degli italiani verso la Valle della Loira. Mentre, in caso di fallimento della fusione teutonica, lo stesso giornale segnalava il rischio che piazza Gae Aulenti si mangiasse Commerzbank. Insomma, in un modo o nell’altro Unicredit era un rischio per l’Italia, secondo il quotidiano di Confindustria. A Mustier veniva anche imputato di non smentire gli scenari negativi disegnati dai nostri watchdog da fiction, ricordo.

Nulla di ciò si è verificato ma occorre restare vigili. Ed infatti, ecco che Graziani lo ricorda nel pezzo di oggi:

È possibile che la banca, in futuro forte di questa maggiore solidità e redditività, guardi a un’aggregazione paneuropea? No, ha detto Mustier: meglio investire nel buyback di azioni di UniCredit per incrementare l’utile per azione della banca a vantaggio di tutti gli azionisti.

Scopriamo però che, secondo Graziani, gli azionisti di Unicredit sarebbero biechi short-termisti:

Considerato che l’azionariato di UniCredit è fatto ormai per quasi il 90% da investitori istituzionali interessati a risultati di breve periodo, non sorprende che la reazione della Borsa al piano di maxitagli dei costi di UniCredit sia stata positiva.

Ora, già leggere che ci sono “investitori istituzionali interessati a risultati di breve periodo” suona piuttosto ossimoricamente bizzarro. Se poi andiamo a vedere chi sono questi investitori, oltre agli emiratini di Abu Dhabi, scopriamo che al primo posto del libro soci c’è BlackRock col 5,08%, ma con i suoi fondi comuni. Forse perché Unicredit è presente nei maggiori indici azionari internazionali? Ah, saperlo. Al secondo posto segue la società di gestione statunitense Dodge & Cox, col 5%. Altre bieche locuste, immagino. Poi abbiamo i fondi passivi di Vanguard, col 3%; il temibile e rapace fondo sovrano norvegese col 2,9%; con 1,08% c’è la Teachers Insurance and Annuity Association of America, che consiglia alcuni fondi pensione di docenti. Avrete capito, quindi: i maggiori azionisti della public company Unicredit sono tutti pericolosi speculatori di cortissimo respiro. O no?

Insomma, per il Sole saremmo di fronte ad una bella banca che sta perdendo anima e missione, avendo -pare- rinunciato ad aggregazioni transfrontaliere che tuttavia lo stesso giornale era pronto a segnalare con vigore alla politica italiana. “Tu sei buono e ti tirano le pietre. Sei cattivo e ti tirano le pietre. Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai, sempre pietre in faccia prenderai”, cantava Antoine.

A me invece sembra che Unicredit ed il suo CEO siano da tempo oggetto di severi giudizi da parte della nostra stampa. La banca ha ridotto le proprie partecipazioni? Sì, e quindi? Esiste un divieto a questo tipo di condotte? Sta rivedendo il proprio perimetro per diventare più snella e redditizia? Sì, e quindi? Si tratta di un reato o di violazione della Carta costituzionale? Fatecelo sapere, in caso.

Qualcuno pensava davvero che, nella situazione attuale del credito in Europa, ci fossero alternative all’evoluzione verso digitalizzazione e riduzione degli organici? Avete provato a guardare le metriche di Unicredit rispetto a quelle delle altre maggiori banche europee? Se no, vi informo: la banca ha un evidente ritardo rispetto alla media, che deve colmare.

Ma facciamola breve: se qualcuno pensa che una banca debba vedersi assegnare un obiettivo di occupazione da un pianificatore centrale nazionale, resterà deluso. Non funziona così. Ed è anche inutile fare girotondi sulla digitalizzazione e su nuovi modelli di servizio se poi l’unica pulsione resta quella verso il modello Bangladesh ad alta intensità di lavoro. Mettetevi il cuore in pace. Prima si cambia modello di sviluppo, prima gli organici potranno tornare a crescere.

Piuttosto, non riesco a togliermi dalla mente che, forse, la vera colpa di Unicredit e del suo CEO, oltre al fatto che quest’ultimo è francese e quindi già definito “ospite nel territorio italiano” dal capo di un sindacato sovranisteggiante, è quello di non avere in essere grandi fidi verso grandi e meno grandi editori italiani, e quindi di essere perfetta candidata all’esercizio della facoltà di critica della vigile e libera stampa.


Full disclosure: il sottoscritto non ha mai lavorato per Unicredit o società di quel gruppo, non ha mai posseduto azioni od obbligazioni Unicredit, ha avuto un mutuo da Unicredit estinto nel 2004, non ha attualmente rapporti bancari con Unicredit e società del gruppo, non ha mai conosciuto il CEO di Unicredit.

Foto di robertoangaroni da Pixabay 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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