Trump, Cuba e la nuova Dottrina Monroe: il ritorno di un imperialismo mascherato

Donald Trump, durante il suo mandato e con la prospettiva di un possibile ritorno alla Casa Bianca, ha rafforzato un’agenda politica che guarda all’America Latina come al “cortile di casa” degli Stati Uniti. La sua decisione di reinserire Cuba nella lista dei Paesi patrocinatori del terrorismo e la sua retorica nostalgica di un controllo diretto sull'area evocano il ritorno di una nuova Dottrina Monroe, adattata ai tempi moderni.
Cuba come bersaglio: il revival della Guerra Fredda
L’inserimento di Cuba nella lista nera statunitense è stato uno dei colpi finali dell’amministrazione Trump verso L’Avana, un gesto simbolico che ha riportato le relazioni bilaterali al gelo della Guerra Fredda. Nonostante la mancanza di prove concrete a supporto di questa accusa, l’azione ha avuto effetti devastanti per l’economia cubana, già messa in ginocchio dall’embargo e dalla pandemia. La mossa è stata una chiara strizzata d’occhio alla comunità esiliata cubano-americana, storicamente ostile al regime castrista, ma ha anche rappresentato un attacco alla sovranità di un Paese che ha osato sfidare l'egemonia statunitense.
La nuova Dottrina Monroe: isolazionismo o neocolonialismo?
Trump ha dichiarato esplicitamente che gli Stati Uniti devono concentrarsi su questioni “vitali” e riconquistare la propria influenza sull’America Latina. Questo discorso, che si rifà alla Dottrina Monroe del 1823, sancisce la volontà degli Stati Uniti di riaffermare il proprio dominio sulla regione per contrastare la crescente presenza di attori globali come la Cina.
Il tentativo di rivendicare il controllo sul Canale di Panama ne è un esempio lampante. Malgrado la legalità internazionale garantisca la sovranità panamense dal 1999, Trump ha definito le tariffe di transito “ridicole” e ha minacciato di riprendere il controllo del canale, ribadendo l’importanza strategica di questa infrastruttura per la Marina e il commercio statunitense. La risposta del presidente panamense José Raúl Mulino è stata netta: il Canale appartiene a Panama e non è negoziabile.
L’espansionismo mascherato: Canada e Messico nel mirino
Non solo l’America Latina. Trump ha suggerito che il Canada e il Messico dovrebbero diventare territori statunitensi, argomentando che gli Stati Uniti sovvenzionano le economie di questi Paesi per centinaia di miliardi di dollari ogni anno. Una dichiarazione che non solo ignora le complessità delle relazioni commerciali nordamericane, ma che rappresenta un ritorno a un nazionalismo aggressivo e colonialista.
Le reazioni in America Latina: verso un fronte unito
Le provocazioni di Trump hanno trovato una risposta forte da parte di leader progressisti latinoamericani. Il presidente colombiano Gustavo Petro, ad esempio, ha difeso con fermezza la sovranità panamense, invitando gli Stati Uniti a un dialogo paritario e dignitoso. Queste dichiarazioni riflettono un crescente desiderio nella regione di costruire un blocco unito e critico verso l’imperialismo statunitense.
Un futuro multipolare
Nonostante i proclami di Trump, l’analista López Alvarado evidenzia che il mondo sta ormai avanzando verso un ordine multipolare, in cui gli Stati Uniti non detengono più l’egemonia indiscussa. La volontà di Trump di riaffermare il dominio sull’America Latina è destinata a scontrarsi con la realtà di una regione sempre più consapevole del proprio potenziale e decisa a difendere la propria autonomia.
Resistenza e autodeterminazione
Le politiche di Trump verso Cuba e l’America Latina non sono altro che un tentativo di restaurare un passato imperialista che non trova più spazio nel contesto attuale. La resistenza dei Paesi latinoamericani e il loro impegno verso l’unità e la sovranità rappresentano una speranza per un futuro diverso, in cui i rapporti internazionali siano fondati sul rispetto reciproco e sulla cooperazione, non sull’imposizione e sulla coercizione.
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