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Troppi beni culturali da gestire? Affidiamoli al mercato

Lascia alquanto perplessi la constatazione che la pubblicazione del decreto dell’Assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana del 30 novembre scorso non abbia acceso alcun dibattito, mentre vi è stato il plauso di qualche associazione che ha dichiarato che questo decreto “potrà offrire, finalmente, preziose opportunità ai giovani professionisti che saranno chiamati a lavorare da esterni a fianco dell’amministrazione regionale e dei privati, concorrendo a realizzare i progetti di concessione in uso dei beni culturali”.

 Infatti, si tratta di un provvedimento che apre i depositi dei musei, dei luoghi della cultura e delle biblioteche dell’amministrazione regionale ai privati che finalmente – secondo le dichiarazioni dell’Assessorato – valorizzeranno parti del patrimonio culturale, fino ad adesso non fruite, in esposizioni aperte al pubblico.

Nonostante il trionfalismo dell’amministrazione regionale e di qualche associazione, noi riteniamo necessario aprire un dibattito pubblico sulla questione relativa alla valorizzazione dei beni culturali.

La mostra su Antonello da Messina organizzata dalla Regione siciliana (2018- 2019) vide una parte consistente dell’opinione pubblica mobilitarsi contro l’iniziativa di far viaggiare la delicatissima Annunciazione di Siracusa fino a Palermo e poi in volo per Milano. Voci più tiepide giunsero da Messina per le opere del celebre artista che ebbe i natali nella città dello stretto mentre per l’Annunciata di Palermo, l’icona della Galleria regionale di Palazzo Abatellis, solo qualche sussurro. Ma la crociata per la tutela dell’Annunciazione di Siracusa, accompagnata dalla scena tragica del ratto dalla Galleria – così veniva percepita dalla città, dalle associazioni, dagli storici dell’arte la movimentazione dell’opera da Palazzo Bellomo al furgone che la portava via di notte – non sortì alcun effetto perché l’amministrazione regionale, per mettere a tacere ogni polemica sulla legittimità dell’operazione, pubblicò ad hoc un efficacissimo decreto di soli tre articoli, nei giorni dell’esposizione degli Antonello a Palermo, in cui venivano autorizzati il prestito e il trasferimento temporaneo dei beni culturali siciliani a istituzioni pubbliche o private sia all’interno che all’esterno del territorio siciliano. Con questo atto amministrativo si andavano a svincolare di fatto anche le opere che un precedente decreto del giugno 2013 aveva posto nell’elenco dei beni di cui si vietava l’uscita dal territorio isolano in quanto “fondo principale di una determinata ed organica sezione di museo, pinacoteca, galleria, archivio o biblioteca”. In elenco anche l’Annunciata di Palermo, l’Annunciazione di Siracusa e il Polittico di San Gregorio di Messina, dipinti che, grazie al decreto del gennaio 2019, riuscirono ad attraversare lo stretto per la seconda tappa della mostra a Milano.

Alla luce di questi fatti è necessario riconsideriamo il decreto pubblicato in questi giorni nei contenuti. L’oggetto del provvedimento sono “i beni culturali che si trovano in giacenza nei depositi regionali (…) di cui sia stata smarrita la documentazione” e il “contesto d’appartenenza”. Si tratta di un cospicuo numero di opere e reperti (storico-artistici, archeologici, etno-antropologici e bibliografici) appartenenti al demanio e al patrimonio della Regione siciliana che in questo modo verranno affidati in concessione ai privati.

Ma chi sono i soggetti “privati” chiamati dal decreto a concorrere per l’attribuzione concessiva del patrimonio pubblico siciliano? Saranno i vincitori del bando che per l’assegnazione delle opere verseranno un corrispettivo all’amministrazione in denaro o in fornitura di beni e servizi. Insomma, cadono le aspettative del mondo associazionistico perché – ancora una volta – il “privato” sarà quel sistema di impresa che da qualche anno opera anche in Sicilia mentre nella Penisola già da tempo ha in mano i maggiori siti dei beni culturali, grazie al codice Urbani del 2004 che è la fonte legislativa su cui si regge la legittimità anche degli ultimi decreti dei beni culturali della Regione siciliana. Il codice – chiaramente di ispirazione liberal-mercatista, al limite della costituzionalità a detta di molti esperti –, ha reso possibile la privatizzazione del patrimonio culturale consegnandolo al sistema dell’impresa che, nella logica del profitto, usa i beni culturali come merce e prodotti di consumo, non mancando di attingere in tutti i bacini professionali a manodopera retribuita a basso costo o non pagata affatto, arruolando precari, stagisti e volontari a cui si chiedono prestazioni altissime sia in termini quantitativi di tempo sia in termini qualitativi di lavoro.

Anche quest’ultimo decreto siciliano non manca di legittimare questi aspetti della materia. Infatti, mentre i concessionari del patrimonio dei beni culturali siciliani potranno continuare a “beneficiare di contributi o finanziamenti previsti da norme regionali, statali e dell’Unione Europea”, il lavoro di ricognizione dei beni da mettere a bando lo svolgeranno “gli studenti universitari in discipline connesse alla conservazione dei beni culturali che operano in regime di tirocinio”.

Altro che formazione! Si tratta di impiegare giovani laureandi a compilare elenchi gratuitamente.

Qui ci fermiamo, sperando di aver acceso alcune luci che possano aprire finalmente un serio dibattito. anche a livello nazionale, sul futuro dei beni culturali che, in quanto patrimonio comune ereditato dalle generazioni passate, appartiene a tutta la collettività in capo alla quale corre l’obbligo di salvaguardalo in funzione delle generazioni future.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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