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Tortura, repressione, crimini di guerra, privacy: il rapporto sui diritti di Amnesty

“Un mondo senza diritti”: Amnesty presenta il suo rapporto sul 2015

Torture in 122 paesi, limitazioni alla libertà d’espressione e di stampa in 113. E almeno 156 difensori dei diritti umani morti in carcere o uccisi in mezzo alla strada.

Queste cifre ci dicono che nel 2015, come testimonia il Rapporto 2015-2016 di Amnesty International reso pubblico oggi, la repressione è stata forte e chi ha osato sfidarla o denunciarla ha pagato col carcere e con la vita il suo impegno.

E poi, 36 paesi nei quali i gruppi armati hanno commesso nefandezze varie (esecuzioni sommarie, lapidazioni,rapimenti e uccisioni di civili, riduzione in schiavitù sessuale) e 19 paesi in cui hanno avuto luogo crimini di guerra.

In primo piano, come ormai da cinque anni, l’apocalisse della Siria – da cui sempre più persone cercano di fuggire, e sempre più persone muoiono lungo pericolosi viaggi o vengono bloccate prima di partire e respinte verso la guerra – cui l’anno scorso si è affiancata la crisi umanitaria dello Yemen, acuita dall’intervento militare di una coalizione a guida saudita. Sullo sfondo, dimenticati come sempre, i tanti conflitti africani.

La protezione dei diritti umani di centinaia di milioni di persone, è a rischio più che mai anche in paesi non impegnati in conflitti, per colpa – si legge nel Rapporto – di interessi egoistici nazionali di corto respiro e dell’adozione di misure draconiane di sicurezza, che hanno dato vita a un assalto complessivo ai diritti e alle libertà fondamentali. I governi attaccano di proposito le istituzioni che hanno creato per proteggere i diritti di tutti, riducono i finanziamenti a esse destinati o le ignorano.

A “tradire” sono anche paesi dai quali ci si aspetterebbe maggiore sostegno alla causa dei diritti umani. La reazione di molti governi alle minacce alla sicurezza nazionale si è tradotta in un attacco alla società civile, al diritto alla riservatezza e a quello alla libertà di parola.

Come già dopo gli attentati del 2011 alle Torri gemelle, siamo di nuovo di fronte a un palese tentativo di rendere i diritti umani parole sporche, di contrapporli alla sicurezza nazionale, alla legge e all’ordine, ai "valori nazionali".

All’orizzonte, c’è l’elezione del prossimo segretario generale delle Nazioni Unite. In carica da gennaio 2017, la persona che sarà eletta erediterà la guida di un’organizzazione che ha raggiunto molti risultati nella sua storia ma che ha disperato bisogno di nuovo vigore.

Per invertire la tendenza di un mondo senza diritti, Amnesty International chiede agli stati membri e al Consiglio di sicurezza di mostrare coraggio nel pensare a nuove riforme, a partire proprio dal modo in cui sarà eletto il nuovo segretario generale.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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