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Tony Nicklinson e il suo diritto di dire “basta”

 

Tony Nic­klin­son, da set­te anni af­fet­to da sin­dro­me loc­ked-in, vo­le­va dire “ba­sta”. L’Alta Cor­te in­gle­se gli ha ri­spo­sto “no”. E lui si è la­scia­to mo­ri­re. Per­ché non gli ave­va­no la­scia­to al­cun al­tro modo per po­ter dire “ba­sta”.

Per far­la fi­ni­ta ha do­vu­to ri­fiu­ta­re il cibo per una set­ti­ma­na: una pol­mo­ni­te è ra­pi­da­men­te in­sor­ta e il de­cor­so è sta­to tut­to som­ma­to ra­pi­do. Ciò non to­glie che, per lui, sia sta­ta una set­ti­ma­na di ul­te­rio­ri sof­fe­ren­ze. E di pro­fon­dis­si­mo do­lo­re per la de­ci­sio­ne dei giu­di­ci, scri­ve la Bbc. An­che per­ché, pri­ma che fos­se col­pi­to dall’in­far­to, ave­va già re­dat­to di­ret­ti­ve di fine vita in cui ri­fiu­ta­va ogni trat­ta­men­to inu­ti­le. Il suo ul­ti­mo mes­sag­gio è sta­to: “Ad­dio mon­do, il mio tem­po è ve­nu­to, mi sono an­che di­ver­ti­to”. La fa­mi­glia ha scrit­to che è mor­to pa­ci­fi­ca­men­te. For­se per aver fi­nal­men­te ca­pi­to che il suo in­cu­bo sta­va fi­nen­do.

C’è chi ha pa­ra­go­na­to Nic­klin­son al caso Wel­by, ma la vi­cen­da ri­cor­da as­sai di più quel­la di Gio­van­ni Nu­vo­li, l’ex ar­bi­tro sar­do che morì “na­tu­ral­men­te” dopo aver ri­fiu­ta­to cibo e ac­qua. Non sono af­fat­to casi in­fre­quen­ti. Per cui è più che le­git­ti­mo por­si per l’en­ne­si­ma vol­ta la do­man­da: si può co­strin­ge­re un es­se­re uma­no a vi­ve­re gior­no dopo gior­no, mi­nu­to dopo mi­nu­to “un vero e pro­prio in­cu­bo”, come Nic­klin­son de­scri­ve­va la pro­pria realtà quo­ti­dia­na?

Se­con­do i giu­di­ci in­gle­si, e i par­la­men­ta­ri del­la mag­gio­ran­za dei pae­si eu­ro­pei, sì, è le­git­ti­mo far­lo. La le­ga­liz­za­zio­ne dell’eu­ta­na­sia vo­lon­ta­ria è un o­biet­ti­vo non fa­ci­le da con­se­gui­re: spe­cial­men­te in Ita­lia, dove con­ti­nuia­mo a ri­schia­re che il par­la­men­to ap­pro­vi una leg­ge con­tro il te­sta­men­to bio­lo­gi­co.

Pen­sa­va­mo che l’In­ghil­ter­ra fos­se alie­na dall’apo­lo­gia del do­lo­re, ma ci sba­glia­va­mo. Ri­chard Da­w­kins ne ha do­cu­men­ta­to un esem­pio ecla­tan­te sul suo sito: “la sof­fe­ren­za è ine­vi­ta­bi­le”, ha scrit­to un po­li­ti­co con­ser­va­to­re. E in­ve­ce no: spes­so è evi­ta­bi­le, e ogni cit­ta­di­no adul­to do­vreb­be ave­re il di­rit­to di evi­tar­la.

Da un pun­to di vi­sta ateo, il mor­bo­so at­tac­ca­men­to alla vita di chi cre­de in quel­la eter­na è dif­fi­cil­men­te spie­ga­bi­le. Par­la­no di “di­rit­to na­tu­ra­le”, ma quan­to è na­tu­ra­le la­sciar tor­tu­ra­re es­se­ri uma­ni, co­strin­gen­do­li a ri­fiu­ta­re “in­na­tu­ral­men­te” il cibo pur di por­re ter­mi­ne a sof­fe­ren­ze in­di­ci­bi­li? Il mon­do è cam­bia­to, l’aspet­ta­ti­va di vita è mu­ta­ta, ma an­che l’at­teg­gia­men­to nei con­fron­ti del­la vita (e so­prat­tut­to del­la qua­lità del­la vita) non è più lo stes­so.

Che la Chie­sa e una par­te dei suoi fe­de­li non ne pren­da­no atto rien­tra nel­le loro fa­coltà, che nes­su­no vuo­le toc­ca­re. Non è tut­ta­via ac­cet­ta­bi­le che le “ra­di­ci cri­stia­ne” in­fluen­zi­no an­co­ra oggi le le­gi­sla­zio­ni, in­flig­gen­do sof­fe­ren­ze in­fer­na­li a chi nell’in­fer­no non cre­de.

“E’ inac­cet­ta­bi­le che, nel ven­tu­ne­si­mo se­co­lo, mi sia im­pe­di­to di por­re ter­mi­ne alla mia vita sol­tan­to per­ché sono una per­so­na por­ta­tri­ce di han­di­cap” (Tony Nic­klin­son, 1954-2012).

 

La re­da­zio­ne, in me­mo­ria di un uomo che ha com­bat­tu­to per i di­rit­ti di tut­ti

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